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C'è ancora domani. Un film di ispirazione neorealista, certo, nella scelta del bianco e nero, nelle inquadrature che si soffermano su luci e ombre nei volti dei protagonisti, che indagano sugli spazi angusti di una casa povera, teatro di violenze e sugli spazi della piazza, del mercato,del buono e cattivo vicinato, luoghi della gioia e della sofferenza condivisa e della chiacchiera del rione. Ma anche un film fintamente melo', una commedia umana che acrobaticamente si destreggia su un filo disteso sul baratro della tragedia, un film che fa del vero, sposato apertamente come in un manifesto, il proprio concetto di bello, indulgendo raramente in momenti decorativi, se non quando questi assumono un significato narrativo. Una storia che sceglie l'evidenza del dramma come punto di vista e procede con linearità sulla scorta delle strategie frutto dell'intelligenza di una donna, la protagonista interpretata dalla regista, Paola Cortellesi, che sa leggere la realtà alla luce di una consapevolezza che acquisisce a sue spese, giorno per giorno, nella forza di un'idea, quella di dare un esempio di vita alla figlia e salvarla da un destino scritto.
Pensavo di sapere tutto sulla vita dell'epoca,e in parte sulla condizione femminile negli anni Quaranta, avendo visto film neorealisti, raccolto racconti di nonni, visto documentari; tuttavia, fin da principio, solo parziale è la sensazione di assistere ad un film già noto, per le vicende e l'ambientazione. Sensazione che dura poco in quanto viene quasi subito sconfessata dallo spessore degli interpreti, capaci di dare mille volti ad ogni battuta, dal tocco leggero e femminile della regia che sdrammatizza dove ci sarebbe da tremare e, soprattutto dal finale, che liberamente gioca con le aspettative dello spettatore e le tradisce,dando una grande lezione di libertà e emancipazione. Ed è il garbo pungente de "La sera dei miracoli" di Lucio Dalla, a raccontarci, nella poesia del quotidiano, la notte in cui matura la scelta di rivendicare la propria identità da parte della protagonista, la scelta di milioni di donne che allora scrissero un pezzo di storia.
Una storia lineare e coerente come un teorema pitagorico, che arriva dritta all'obiettivo e nei suoi dettagli lasciati qua e là, tra una richiesta di perdono dopo un abuso domestico e una violenza psicologica di un giovane amore tossico e che ci mostra come il 1946, purtroppo, non sia molto lontano. Il finale è un colpo di teatro che ci insegna come certi cliché, serviti su un piatto d'argento dalla trama di un film, possono fare capolino da qualche angolo della memoria e portarci pericolosamente indietro. Un film per tutti, ma soprattutto per le scuole, perché le nuove generazioni imparino, riflettano e costruiscano un futuro migliore.