Se non avete letto ancora nulla di Valerie Perrin dovreste al più presto rimediare, con un avvertimento: i suoi romanzi danno dipendenza, quindi preparatevi a non distaccarvene più.
"Cambiare l'acqua ai fiori", vincitore di numerosi riconoscimenti dal 2018 ad oggi, è uno di questi. Non mi capitava da quando ero bambina di rileggere un libro 3 volte di fila (mi è successo a 9 anni con la "Storia infinita" di Michel Ende, dono di un'amica, e appunto libro infinito come nel titolo); non mi capitava al punto di dovermi forzare a lasciarlo per un nuovo romanzo della Perrin, "Tre", costringendomi a non rileggerlo la quarta volta.
L'argomento non è dei più accattivanti, a prima vista.
Ricordo il tam tam sui social a proposito di questo romanzo e non riuscivo a capire come riuscisse a smuovere la fantasia e la sensibilità di tanti lettori, molti dei quali abituati a stare sul pezzo, non certo reduci dalla lettura del primo romanzo della loro vita.
Poi l'ho letto e ho capito.
Violette, la protagonista che ha l'iniziale in comune con l'autrice, che è scrittrice, fotografa, giornalista, Violette Trenet, abbandonata in fasce e scampata alla morte con il cognome (datole) del romantico cantautore francese, è la guardiana di un cimitero. Una donna di 40 anni in rinascita che, dopo essere stata vessata dalla vita, ha scelto questo singolare lavoro per dare una svolta ai suoi giorni e fare pace con il proprio passato.
Il tema centrale è l'elaborazione di uno dei peggiori lutti che una persona possa vivere: la perdita della propria figlia.
Lentamente la matassa della vita di Violette si dipana attraverso i salti temporali del romanzo, di cui la Perrin è maestra, presentando la trama di un giallo con dei colpevoli imprevedibilmente legati a doppio filo alla vita della protagonista, due persone resesi responsabili del grave incidente che ha provocato la morte della sua piccola durante il soggiorno in un castello/residence francese.
Da questo tragico evento, scopriamo la storia di Violette, quasi imparando a volerle bene.
Questa è una caratteristica dello stile della Perrin che, attraverso una scrittura umile e dimessa che rifiuta l'artificio retorico o il richiamo letterario alle parole desuete e colte, insegue le piccole cose, i gesti, gli sguardi,i piccolo tic che caratterizzano azioni e vita dei suoi personaggi, aprendo squarci sulla loro anima. Ambienti e vestiti e tazzine di the,patatine fritte nei pub affianco ai motel, bambole di plastica dagli inquietanti occhi di vetro, bottiglie di alcolici, insalate vegane, il nastro unto della cassa di un supermercato e piantine di pomodori nell'orto ci raccontano vite, attimi, umori e giorni scivolati via nella vita di ogni giorno, ciascuno con un senso. E i personaggi ci diventano familiari, sentiamo le loro emozioni e viviamo i loro pensieri come se fossero intimi amici che manifestano il proprio esistere al nostro cospetto.
La vita di Violette è una vita costellata da abbandoni. Cresciuta in una casa famiglia (non a caso il suo libro-ossessione è "Le regole della casa del sidro" di Irving) quasi abbandonata a se stessa, incontra nel locale notturno dove lavora un uomo che la rovina, scegliendola per pura attrazione fisica; un uomo il quale, costretto a tenerla con sé come compagna per il sopraggiungere di una gravidanza, la abbandona ogni giorno per mille avventure amorose, giri in moto, la rinnega nei discorsi di disprezzo dei suoi genitori e le scarica tutte le responsabilità del lavoro, del sostentamento loro e della loro bambina, e la sua crescita. Violette lavora per sé e per lui, Violette si occupa di lui, della bambina, della casa e di ogni aspetto della loro vita, Violette si carica del peso del lutto, Violette sceglie di andare a lavorare nel cimitero dove la figlia è sepolta. A poco vale il tentativo di riabilitazione dell'autrice di questo personaggio di statura meschina: Philippe Touissant (Ognissanti che lavora al cimitero, tratto giocoso dell'autrice) ama perdutamente la moglie dello zio per lui impossibile fino a quando lo zio è in vita e per questo si butta via in mille relazioni fisiche tra cui quella duratura con la povera Violette che gli fa da badante e mamma di sua figlia. I dolori di un amore non vissuto perché impossibile sono piccole attenuanti rispetto alle venature narcisistiche di un personaggio debole ed egoista che, di fronte al peso della responsabilità della morte della figlia, sceglie prima la rimozione della vecchia vita ricominciando da zero da un'altra parte e poi il suicidio.
Ultimo ma centrale tema del romanzo che illumina di rosa tutto questo fosco paesaggio: il tema dell'orto, dell'amore e della guarigione.
Cambiare l'acqua ai fiori è un rituale comune per chi si occupa delle tombe. Poi, però, Violette comincia a coltivare e vendere i fiori per arrotondare lo stipendio, quindi si appassiona all'orto che, sul retro della casa da guardiana, le offre lo spettacolo della vita che nasce su un terreno concimato dalla morte, la soddisfazione di produrre per sé i frutti dell'amore per la terra, comprendendo il valore del sentimento, dell'osservazione del vento e del ritmo delle fasi lunari, il dialogo della natura con l'uomo che caratterizza la primigenia forma della felicità: lo stato di natura.
Iniziatore di questa trasformazione è Sasha, una sorta di erborista, taumaturgo, pranoterapeuta e psicologo che le insegna a tornare alla vita mostrandole il percorso della rinascita un passo per volta fino a lasciarla sola e responsabile nel suo cammino. Ed è così che la vede e trova Julien, visitatore del cimitero e suo nuovo amore con cui ripercorrerà la storia d'amore difficile della madre, li' sepolta, per un uomo scostante e inafferabile, attraverso diari incrociati e intrecciati con il racconto dell'amore di Julien e Violette. Il lettore ad un certo punto fa fatica a distinguere le due storie in corso, per certi tratti molto simili. Così lui la vedrà: una guardiana di cimitero con vestiti colorati, rosa carminio, o a fiori rossi sotto il mantello nero, cappotti scuri, come in un'estate dell'anima travestita da inverno in esterno. Un'immagine che fa tornare alla mente quella idea così tipica delle filosofie orientali che vedono nell'inverno la stagione non della morte ma della rinascita della natura perché e' il tempo in cui sotto la neve i nuovi semi riposano e lentamente si preparano a germogliare. L'estate dentro, l'inverno fuori. Le epigrafi ad inizio di ogni paragrafo. Le canzoni d'amore di Charles Trenet citate qui e là. Un romanzo che dipinge la vita.
“Invincibile estate”
Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
Albert Camus