sabato 27 aprile 2024

Back to black, il film che Amy non meritava



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Sembra di essere sul set patinato e scintillante di un videoclip delle Ronettes, le star della girl band anni Sessanta di "Be my babe" più che nel biopic di una delle più tormentate interpreti black degli ultimi 30 anni, la rimpianta Amy Whinehouse. Troppo belli gli attori protagonisti, sempre in forma e buona salute pure nelle fasi down delle loro dipendenze, nonostante qualche ciuffo scomposto o qualche piccolo dettaglio qua e là. Sempre melensa e dolciastra l'interpretazione degli attori comprimari, il padre, il manager, la nonna, nessuna emozione trasmessa nella recitazione che come qualita' è un filino sopra il livello di una soap opera. Molto somiglianti gli attori che interpretano Amy e Blake ma il loro impegno sembra fermarsi a ripeterne qualche tic o alcune movenze. Manca l'anima all'interpretazione, manca la cruda realtà, quella a cui, forse, non avremmo retto noi spettatori comuni; anzi, la narrazione cinematografica, in maniera diseducativa, trasforma un trip da droghe pesanti in un colorito e immaginifico bagno in piscina. Del tutto ridimensionate sono le responsabilità del padre, degli amici, del compagno che non sembra averla trascinata nella spirale delle droghe, ma aver semplicemente accettato una realtà di fatto e condivisa. Appare quasi saggio il padre che sa delle dipendenze della figlia ma non l'aiuta, anzi la incoraggia a continuare con i tour, chissà perché, ma poi la accompagna in un centro di disintossicazione quando lei lo chiede, ad un passo dall'autodistruzione. Il ritratto di una ragazzina capricciosa, disadattata e violenta che si è cacciata da sola nei guai, non rende giustizia ad un'artista di talento e disperatamente sensibile che ha lanciato al mondo più di un grido di aiuto, che forse voleva solo un po' di amore e che, invece, incontrava solo muri di indifferenza e desideri di sfruttamento. 
Ottimo l'aspetto decorativo, il montaggio delle sue musiche con la sua inimitabile voce sulle sequenze del film, l'approfondimento sulle sue origini musicali, la musica che la circondava, i luoghi e i costumi. 
L'anima della musica, nonostante la sua voce, viene, invece, tradita da un racconto che non aggiunge ma sottrae alla storia complessa e difficile di una cantante fragile del gruppo 27, età terribile per morire, ma destino comune a tanti artisti che hanno fatto la storia della musica.

domenica 21 aprile 2024

Il San Carlo canta Napoli con Maria Agresta

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"Il potere che si nutre di oppressione e paura non produce progresso, il potere che educa le coscienze al valore della bellezza forma la civiltà"
Maria Agresta commenta così la storia della canzone "O surdato 'nnamurato" che fu oggetto di censura da parte del re durante la prima guerra mondiale perché accusata di muovere i soldati a essere disertori per una grande colpa, quella di cantare la nostalgia dell'amore lontano. È un viaggio dentro e intorno alle canzoni d'oro della musica napoletana di tradizione quello disegnato e interpretato dal soprano Maria Agresta, voce di velluto e inclinazione al ricamo con una carrellata di canzoni che prendono velocemente il volo e conquistano i cuori e la sensibilità della platea. Quella sensibilità perduta e quel culto delle sfumature perdute nei tempi moderni della velocità, del consumo veloce della vita e dell'incitamento all'odio. Un ristoro per l'anima, questo concerto in cui le melodie napoletane celebri intessute con intensità drammatica e finezza vocale dalla Agresta sono accompagnate da arrangiamenti orchestrali scritti dal direttore d'orchestra Maurizio Agostini che hanno dato uno scintillante tocco hollywoodiano alla performance. Orchestra in gran forma con pianista di sala e mandolinisti.
"Chist’è ‘o paese d’ ‘o sole,
chist’è ‘o paese d’ ‘o mare,
chist’è ‘o paese addó tutt’ ‘e pparole,
so’ doce o so’ amare,
so’ sempe parole d’ammore."
Su "O sole mio" tutto il pubblico canta in estasi e come bis una ricamatissima ""a vucchella" e uno spigliato "Funiculi' funicula'" riassumono l'umore di uno spettacolo tra toni festosi, gioia e momenti di intensità lirica.
Margherita Gargano
 




mercoledì 10 aprile 2024

Farfalle libere

Einaudi piano

Farfalle libere”

Alda Merini


Mangerete polvere,

cercherete d’impazzire

e non ci riuscirete,

avrete sempre il filo

della ragione che vi

taglierà in due.

Ma da queste profonde

ferite usciranno

farfalle libere.









domenica 7 aprile 2024

La Gioconda di Ponchielli al San Carlo

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La Gioconda (1876) di Amilcare Ponchielli, recita straordinaria al San Carlo per il 30esimo anniversario del debutto di Anna Netrebko.
Fuoco e fiamme in scena e nella performance di Steinberg con l'Orchestra del San Carlo per La Gioconda di Ponchielli, un drammone a forti tinte tutto giocato sul tema del contrasto tra realtà cruda e ideale sognato e dello stretto convivere di vita e morte nello stesso spazio-tempo così tipico della Scapigliatura, movimento letterario decadente cui Arrigo Boito, librettista dell'opera, appartiene.Grande opera con maestose performance del coro e divertissement di ballo, come la celebre e deliziosa Danza delle ore che si staglia come momento leggero e leggiadro su un dramma a tinte fosche, ambientato in una Venezia del Seicento in cui l'omicidio d'onore, politico, o dovuto a superstizioni era prassi, in scenari costituiti da cortili squadrati a ridosso dei canali di acque nere che sembrano essere la porta di ingresso al regno dei morti. La folla che esulta cantando "Feste! pane!" e che danza la forlana o la cerchia degli invitati della festa prestigiosa nel palazzo di Alvise, membro dell'Inquisizione, che assiste alla bellissima Danza delle ore, calpestano tutti lo stesso pavimento, in cui all'improvviso si aprono botole che sono tombe di cadaveri. La vita danza sulla morte in una sorta di Carnevale (e per il tempo di Carnevale era prevista la prima rappresentazione dell'opera) con una musica venata da melodie- ricamo che sottilmente raccontano le vicende dei personaggi in scena attraverso il filtro dell'emozione e passano tra arie solistiche, intrecci di voci dei concertati e fraseggi orchestrali per masse sonore. E dunque, le voci. La Netrebko, che festeggia in scena i 30 anni di carriera: una performance limpidissima, calda, con una vocalità avvolgente e serpentina quanto le melodie di Ponchielli, come se la sua voce fosse nata per quest'opera (e dunque mai scelta fu più felice per festeggiare il 30esimo). Nell'aria del quarto atto "Suicidio" tutti siamo stati Gioconda e tutti abbiamo pianto con lei il suo fatale e tragico destino di dolore, solitudine, di abbandono e deserto affettivo. Una personalità vocale che fonde grazia melodica e potenza drammatica toccando tutti i colori della sua tavolozza. Le uscite a fine spettacolo sono state salutate da boati e ovazioni del pubblico, prima che da applausi. 
Ottime, ben cesellate e calate nel tessuto drammatico le performance degli interpreti di Laura Adorno, la mamma Cieca, Badoero, tutte molto apprezzate dal pubblico. Infine Kauffmann, ormai interprete amato del San Carlo, qui in una dimensione vocale felice e a lui consona, diversa dalla discutibile versione pop lirica stile Il volo che ha voluto offrire in un recente spettacolo di canzoni per il cinema. Conquista e vince nella romanza del secondo atto "Cielo! E mar!" e offre una performance di livello in tutta l'opera giocando su colori drammatici oppure in un'area di colore sul filo del rasoio tra piano e pianissimo. Lirica e dramma. Graziosi e bravissimi "i piccoli scoiattoli del mare" i bimbi del coro delle voci bianche del San Carlo impegnati a rappresentare i mozzi dei velieri veneziani in un numero di stretti intrecci ritmici e melodici con le parti del coro dei marinai mentre l'orchestra esplora le sonorità delle famiglie di strumenti procedendo a terrazze. Successo,applausi, si esce quasi storditi da questo continuo melodiare degli interpreti e, a monte, del compositore e dall'imponenza del grand opera che invade e conquista ogni spazio dell'immaginazione.
Margherita Gargano


giovedì 4 aprile 2024

Le plus que lente




Photo by Margherita Gargano

"Pensavo si dovesse solo correre
correre e basta, 
è questo che ho imparato a scuola
correre per entrare in classe in orario
correre per consegnare il compito in tempo

pensavo che si dovesse fare questo
solo questo,
così mi hanno educato a casa,
correre, se vuoi diventare il primo 
e correre per non farsi prendere mai

pensavo fossimo fatti di corsa
di solo corsa,
è questo che mi hanno insegnato a lavoro
correre per raggiungere traguardi più alti
correre per non lasciare tempo agli altri 

ma io, accanto a me,
ho trovato anche una vita lenta
una vita che a volte si stanca
a stare al passo con chi corre

una vita che ha anche bisogno 
di piccole pause
di cene a lume di candela 
di panchine vista tramonto
di libri che parlano di cuori

ho trovato davanti a me
una vita che vuole anche il tempo
di fermarsi un po'
per vedere quanto cuore ancora
le batte dentro."

Gio Evan ✍️

Incontro con il pianista Hamelin

    Ci sono concerti unici nel loro happening e che lasciano il segno nelle pagine dei ricordi della vita musicale cittadina e universale. I...