martedì 20 agosto 2024

Marion

 

#cinema #wimwenders #monologhi #ilcielosopraberlino #wingsofdesire

Uno dei monologhi più intensi del cinema di ogni tempo. E un altro film che è mio.

Marion, una trapezista di un circo sfortunato che va in scena vestita come un angelo (abito che con sarcasmo lei stessa definisce veste con ali di pollo), racconta a se stessa i propri sogni, delusioni, paure, i voli e le cadute, di fronte a un futuro ignoto di cui cerca il senso, prima di incontrare l'amore vero, un angelo, appunto, che si farà uomo per amarla e salvarla, rinunciando all'eternità, 
un angelo che per lei abbandona i cieli di Berlino, dove, insieme ad altri angeli, ascoltava e consolava i pensieri di uomini e donne soli.
 Un film che ha fatto epoca "Il cielo sopra Berlino" (1987) dello sceneggiatore e regista tedesco Wim Wenders, premiato al Festival di Cannes per la miglior regia (1987) e che ha aperto la via a numerosi riconoscimenti per il regista.



Il cielo sopra Berlino: monologo di Marion

Ecco, è finita, neanche una stagione. Neppure stavolta ho avuto il tempo di portare qualcosa a compimento.

Il mio sogno del circo, dieci anni, un bel ricordo.

Questa sera è l’ultima col mio buon vecchio numero. E poi è anche luna piena. La trapezista si rompe l’osso del collo.

Sta’ zitta, zitta…

(…)

Spesso parlo da sola, solo per imbarazzo in momenti come questi, come adesso.

Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?

Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora.

Vivere, basta uno sguardo.

Il circo mi mancherà.

È buffo, non sento niente. È la fine e non sento niente.

Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente.

Come se il dolore non avesse un passato.

Tutta la gente che ho conosciuto, che resta e resterà nella mia memoria; finisce proprio mentre sta per cominciare. Era troppo bello per essere vero.

Finalmente fuori in città. Chi sono io, chi sono diventata? La maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un’eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa. Poi sono andata all’estero. Qualcuno che dicesse: “oggi ti amo tanto”, come sarebbe bello. Devo solo alzare la testa e il mondo si apre davanti ai miei occhi… mi sale nel cuore.

Quando ero bambina volevo viere su un’isola. Una donna sola, potentemente sola. Sì. È così.

È tutto così vuoto, slegato. Il vuoto, l’angoscia. Angoscia, angoscia, angoscia. Come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu?

Non lo so più. So solo che non farò più la trapezista. Basta col trapezio. Le decisioni improvvise, alle quali si crede.

Ma non piangere, veramente l’ultima cosa da fare è mettersi a piangere. Succede così. Dipende; non è mica sempre tutto così come si vuole.
Così vuoto, tutto così vuoto…

Che devo fare? Non pensare più a nulla. Semplicemente esserci. Berlino. Qui sono straniera e tuttavia tutto è così familiare. In ogni caso non si ci può perdere, si arriva sempre al muro. Aspetterò davanti a un automatico e poi verrà fuori una foto con un altro viso. Così potrebbe cominciare una storia. Delle facce, ho voglia di vedere facce. Forse trovo un posto come cameriera.

Ho paura di questa sera. È idiota. L’angoscia mi fa male perché solo una parte di me ha l’angoscia e l’altra non ci crede. Come devo vivere?

Forse non è per niente questo il problema. Come devo pensare? So così poco.

E forse è perché sono sempre così curiosa. Talvolta penso in modo così sbagliato perché penso…

Come se parlassi contemporaneamente a qualcun altro. All’interno degli occhi chiusi… chiudere un’altra volta gli occhi. Allora anche le pietre sono vive…

Stare in mezzo ai colori; i colori, le luci al neon nel chiaro della sera; il metrò rosso e giallo.

Devo solo essere pronta e tutti gli uomini del mondo mi guarderanno… Nostalgia, nostalgia di un’onda d’amore che salga dentro di me.

È questo che mi rende sempre così incapace: l’assenza di piacere.

Il piacere d’amare…

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