domenica 7 luglio 2024

Il Nome della Rosa e il potere della letteratura

Recensione di Margherita Gargano


🕑 TEMPO DI LETTURA : 5 minuti
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"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"

 "La prima rosa esiste nel suo nome. Delle cose conserviamo solo nomi e non la loro essenza".

Umberto Eco conclude così il suo romanzo storico/giallo che racconta di indagini e misteri intorno a morti sospette in un monastero benedettino del Nord Italia del XIV sec. Un monaco detective, Guglielmo di Baskerville e il suo adepto Adso da Melk, assistono, inizialmente impotenti, ad una serie di omicidi senza firma che si consumano nella ordinaria vita, così riccamente descritta ,del monastero in cui si trovano a causa di un delicato convegno; eventi ed omicidi si intrecciano in un inspiegabile dilemma; i due protagonisti, così, incaricati dall'abate che ha perso il fratello e si preoccupa di arrivare al colpevole per confutare le voci sulla venuta dell'Antictisto nel monastero, si misurano con scomode verità e sfidano le autorità per arrivare ad una verità che è una rivelazione filosofica e una riflessione sul potere e sul potere della parola. 




La paura di perdere la giurisdizione sull'abbazia è la motivazione che spinge il mandante dell'inchiesta, l'abate, alla ricerca della verità. Un conflitto di potere tra imperatore Ludovico, sostenitore degli ordini mendicanti come francescani e benedettini che vivevano solo di elemosina, e il papa Giovanni XXII di Avignone che si dichiarava fiero oppositore delle tesi pauperistiche, perché riteneva più che opportuni i sostegni economici alla Chiesa, è all'origine del convegno che conduce Guglielmo, ex inquisitore pentito e domenicano, al convento, insieme al suo discepolo Adso che da figura minore, viene eletto dall'autore come narratore interno al romanzo. Conflitti di potere tra impero e papato, tra regno terreno e regno dei cieli, tra abbazie sul territorio, tra elementi che sono anelli della gerarchia ecclesiastica, tra virtù e vizio, tra verità e compromesso politico, tra coscienza e inganno, e tra vita e morte, fanno di questo microcosmo una polveriera pronta ad esplodere in mille colpi di scena che rendono viva la materia erudita e storico-filosofica che arricchisce le pagine del romanzo e che viene così offerta e resa interessante anche ai non addetti ai lavori.




Il finale, che riprende un pensiero di Bernardo di Cluny del X sec. riesce a dare nuova luce a questo verso. Se del mondo del passato ci restano solo nomi e non realtà oggettiva, fisica e spirituale, pur tuttavia questi nomi, ovvero queste parole hanno un potere tale da influire sulla nostra vita, hanno il potere di salvare o uccidere, come nel caso del manoscritto di Aristotele nel romanzo, hanno il potere di manipolare le coscienze o illuminarle a nuova verità.

Intrighi, veleni, vizi dei monaci, scandali sommersi, pratiche sataniche, accanto ad esempio di santità e devozione e spirito di servizio ci aprono finestre su un mondo umano prima che religioso declinato in tutte le sue varietà, dai gironi infernali alle cornici del Purgatorio, per citare un illustre precedente.

La biblioteca, cassaforte di segreti strategici e teatro di omicidi, è il centro del potere spirituale, politico, religioso, e non ha caso ha la forma di un labirinto simile, forse, al labirinto di Castel del Monte in Puglia. Il labirinto è il luogo fisico per le vie contorte che impediscono il ricongiungimento alla verità ed è il luogo del potere della parola e del potere tout court.



 Nel finale, dunque, Umberto Eco, semiologo, scrittore, docente universitario che della ricerca sul potere della parola ha fatto il centro della propria speculazione, con un colpo di teatro finale sancisce, con una sorta di considerazione finale, il potere della parola e della letteratura, strumento di potere o di rivoluzione delle coscienze e, in forma di corollario, esalta il potere del riso come sberleffo irriverente a chi domina e quindi come forma di resistenza alla sudditanza alle verità preconfezionate.



L'ironia, saggiamente esaltata da Aristotele. I filosofi greci, si sa, avevano compreso tutto dei misteri della vita e dell'uomo. I filosofi venuti dopo si sono potuti misurare con la realtà da afferrare e comprendere solo come "nani sulle spalle dei giganti" (citando il filosofo francese medievale Bernando di Chartres che si riferiva alla civiltà classica in senso ampio) capaci di guardare al futuro solo perché seduti sulle montafne di cultura e riflessioni degli autori che hanno disegnato e dato sostanza alla culla della civiltà occidentale.

Viene in mente un famoso monologo di Luciano De Crescenzo che tanto amo' la filosofia greca, presente nel film "Così parlò Bellavista" tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore, regista, attore partenopeo che recita grossomodo così: 

" Tenetevi lontani dalle persone con una fede incrollabile, quelli che mettono un punto esclamativo alla fine di ogni frase, quelli che si professano depositari di un'unica verità. Questi sono da evitare. La fede è violenza, la fede in qualunque cosa. Quando invece incontrate una persona con i dubbi, che mette sempre punti interrogativi, allora frequentatela. Quella è una brava persona, una persona perbene, che rispetta tutti e non ha certezze incrollabili."

Ipse dixit...

Se amate il Medioevo e volete una full immersion super interessante non perdetevi "I PILASTRI DELLA TERRA" di Ken Follet, un romanzo che costruisce un microcosmo di eventi personaggi e storie che catturera' le vostre energie e attenzioni fino all'ultima pagina.



2 commenti:

Giuliana ha detto...

Perfetta ed indiscutibile critica o per meglio dire presentazione di un' opera la cui complessità ti spinge a rileggerla più volte apprezzando in essa la presenza di vari tipi di narrativa compreso quelli "gialli"che sono i miei preferiti.Questa recensione mi condurrà indubbiamente ad una rilettura dell'opera

Margherita Gargano ha detto...

Grazie per questo commento e buona lettura!

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