sabato 7 dicembre 2024

Rusalka: fumetto cringe o opera fiabesca?

 



Cronache informali dal San Carlo. Giovedì 5 ho seguito la messa in scena dell'opera di apertura stagione: Rusalka di Dvorǰak, opera post wagneriana cantata in ceco ma con sottotitoli in inglese e italiano.
Un'opera raffinata, in cui si sente molto dello spirito liederistico di Brahms, un'opera fin troppo difficile per i non addetti, con il suo melodismo vocale e orchestrale continuo, figlio di una drammaturgia così diversa da quella dell'opera italiana, con proprie logiche interne. Tutto valorizzato splendidamente da orchestra e cantanti dalla vocalità morbida ma intensa che, con la loro bravura, non hanno però salvato un allestimento infelice. 

L'opera tedesca, figlia del singspiel e a sua volta del Lied e della poesia tedesca introspettiva e profonda fino alle lacrime, è già così lontana, per tradizioni culturali, dal modo italiano di percepire il teatro come parola azione da avere bisogno di qualcosa che aiuti e faciliti la percezione degli eventi scenici, non una messa in scena che ne avvilisca e banalizzi i contenuti.

E veniamo al dunque: la favola della ninfa delle acque che si innamora del principe umano e baratta la sua voce per avere una vita da umana, a metà strada tra la Sirenetta di Andersen e la favola ceca Undine, con un finale noir, la morte per accoltellamento del principe e la maledizione eterna della ninfa finisce su uno schermo sipario con un fumetto ultrapiatto. 

Il fiume diventa una piscina, le ninfe delle nuotatrici, il padre delle ninfe un allenatore in tuta da jogging e scarpette. La ninfa protagonista sembra una scappata di casa, sempre in tuta o accappatoio. La strega ha un fare da maitresse e fuma in scena tra una frase cantata e l'altra. 

Questa è la migliore visuale che si possa avere dei cantanti, quando sono inquadrati tutti dentro la buca rettangolare aperta nel sipario che ce li mostra come figure su uno schermo del cellulare mentre su tutto il sipario viene proiettato un fumetto di una bruttezza scandalosa. 

La migliore visuale dicevo. Perché in gran parte dello spettacolo, in questa buca del sipario noi dei piani alti abbiamo potuto vedere solo i piedi dei cantanti che evidentemente, nelle intenzioni del regista, devono avere un grande potenziale drammaturgico...

Il fumetto è letteralmente devastante. Colori bluastri che definiscono citofoni, piscine e trampolini, passeggiate in città di questa povera anima che anche nel fumetto ha perso la bellezza della ninfa e va in giro in cerca del suo crudele principe come una scappata di casa, sciatta fino all'inverosimile e depressa. 

Lui va in giro con gli amici in auto in cerca di avventure e la trova, o meglio, la investe. Questa la traduzione visiva del verso in cui lui accenna alle nebbie e lati bui della sua anima, evidente traduzione poetica della consapevole incapacità di amare. Definire questa traduzione scenografica banale è poco, il poeta autore dei versi potrebbe rivoltarsi nella tomba.

Alla fine non si più prende sul serio questo allestimento. Quando arriva l'urlo finale ci si chiede: ma è finita male? È un dramma? Perché le eterne passeggiate per la città bluastra della scappata di casa fumetto e i piedi scalpitanti della cantante vista nel buco del sipario sembrano suggerire un eterno ritorno di un dramma che gira su stesso ma non si risolve mai. Unici momenti di drammaturgia riuscita sono quelli in cui i cantanti e l'orchestra conquistano autonomia rispetto alle immagini orripilanti e parlano al cuore del pubblico.

Altre note al margine: le signore attempate distinte della platea che si chiedono: "ma tu resti fino alla fine?" " Ma sai io sono in comitiva...devo..." (e io penso con invidia: beate loro a 80 anni hanno la comitiva io ce l' avevo la a 16 anni)
Il mio vicino di loggione che mi ossessionava: non potevo guardare il telefono (conosco l'opera, ascoltavo la musica ma mi annoiavo con tutte quelle piscine cartoon) che dava i pugni sul parapetto e mi costringeva a nascondermi dietro la colonna per rispondere a un messaggio, quando poi dal palco arrivavano luci a neon che sembravano quelle delle sale operatorie degli alieni che fanno esperimenti sugli umani rapiti dalla terra. L'altro vicino tra un atto e l'altro si stiracchiava e dormiva con le mani dietro la nuca come per riprendersi dall'atto appena visto.Una coppia di giganti che sembravano usciti dal signore degli anelli mi spinge gentilmente in ascensore e quasi mi schiaccia senza neanche accorgersi che sono un essere vivente. Un giovane turista americano elegantemente vestito come un dandy e rosso di capelli mi ferma: "Ehi madame, ehi madame!" E mi mostra la cover del cellulare. C'è un oceano a separarci ma ha la mia stessa cover. Un gattino che si specchia e si vede come una tigre. Solo che la sua è usurata, la mia è nuova perché l'ho ricomprata. "It's the same! The same!" E scappo via. Ho incontrato l'anima gemella ma ci siamo persi di vista. Alla prossima Rusalka. Goodbye






mercoledì 25 settembre 2024

ALDA MERINI

 


Quelle come me


Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.

Quelle come me donano l’anima,

perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.

Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,

pur correndo il rischio di cadere a loro volta.

Quelle come me guardano avanti,

anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.

Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,

tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.

Quelle come me quando amano, amano per sempre.

e quando smettono d’amare è solo perché

piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.

Quelle come me inseguono un sogno

quello di essere amate per ciò che sono

e non per ciò che si vorrebbe fossero.

Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,

sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.

Quelle come me vorrebbero cambiare,

ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.

Quelle come me urlano in silenzio,

perché la loro voce non si confonda con le lacrime.

Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,

perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.

Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,

non riceveranno altro che briciole.

Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,

purtroppo, fondano la loro esistenza.

Quelle come me passano inosservate,

ma sono le uniche che ti ameranno davvero.

Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,

rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti

e che tu non hai voluto…


Alda Merini

Lucciole

 




Oggi c'è la libertà di fare tutto ma si è perso il valore di ogni cosa.Abbiamo dimenticato che basta una personalità a riempire una stanza, delle parole efficaci a rendere una conversazione piena di significato,un sentimento autentico a dare una tensione verso l'utopia.Abbiamo bisogno della folla, di luci, suoni, video,autotune, cose da fare, corse in auto, del frastuono quotidiano,serale,notturno. Corriamo perdendo noi stessi, dimenticando la magia. Come diceva Pasolini,sono scomparse le lucciole. 

Margherita Gargano

#pensierieparole

#pierpaolopasolini

#pasolini


mercoledì 11 settembre 2024

Dove vai



Dove vai quando poi resti sola
il ricordo come sai non consola
Quando lei se ne andò per esempio
Trasformai la mia casa in tempio
E da allora solo oggi non farnetico più
a guarirmi chi fu
ho paura a dirti che sei tu
Ora noi siamo già più vicini
Io vorrei non vorrei ma se vuoi
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
Le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto
Dove vai quando poi resti sola
senza ali tu lo sai non si vola
Io quel dì mi trovai per esempio
quasi sperso in quel letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
io la morte abbracciai
ho paura a dirti che per te
mi svegliai
Oramai fra di noi solo un passo
Io vorrei non vorrei ma se vuoi
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto


Lucio Battisti, interprete della mia anima 

 

martedì 10 settembre 2024

Leoni

 







Vincenzo Florio ragazzo, suo zio Ignazio

V. " Come fate a resistere vedendo tutto questo?" (in riferimento alle violenze del padre sulla madre)

I: "Perché io guardo lontano" (nel dolore di aver perduto proprio quella donna che ha sposato suo fratello)

V: "Lontano? E cosa guardate lontano?Lontano non c'è niente! C'è solo il mare!"





sabato 7 settembre 2024

Considero valore

 


Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

 Erri De Luca

Opera sull’acqua e altre poesie (Einaudi, 2002)

domenica 1 settembre 2024

Cambiare l'acqua ai fiori

 


Se non avete letto ancora nulla di Valerie Perrin dovreste al più presto rimediare, con un avvertimento: i suoi romanzi danno dipendenza, quindi preparatevi a non distaccarvene più.
"Cambiare l'acqua ai fiori", vincitore di numerosi riconoscimenti dal 2018 ad oggi, è uno di questi. Non mi capitava da quando ero bambina di rileggere un libro 3 volte di fila (mi è successo a 9 anni con la "Storia infinita" di Michel Ende, dono di un'amica, e appunto libro infinito come nel titolo); non mi capitava al punto di dovermi forzare a lasciarlo per un nuovo romanzo della Perrin, "Tre", costringendomi a non rileggerlo la quarta volta.
L'argomento non è dei più accattivanti, a prima vista. 
Ricordo il tam tam sui social a proposito di questo romanzo e non riuscivo a capire come riuscisse a smuovere la fantasia e la sensibilità di tanti lettori, molti dei quali abituati a stare sul pezzo, non certo reduci dalla lettura del primo romanzo della loro vita. 
Poi l'ho letto e ho capito.
Violette, la protagonista che ha l'iniziale in comune con l'autrice, che è scrittrice, fotografa, giornalista, Violette Trenet, abbandonata in fasce e scampata alla morte con il cognome (datole) del romantico cantautore francese, è la guardiana di un cimitero. Una donna di 40 anni in rinascita che, dopo essere stata vessata dalla vita, ha scelto questo singolare lavoro per dare una svolta ai suoi giorni e fare pace con il proprio passato. 
Il tema centrale è l'elaborazione di uno dei peggiori lutti che una persona possa vivere: la perdita della propria figlia. 
Lentamente la matassa della vita di Violette si dipana attraverso i salti temporali del romanzo, di cui la Perrin è maestra, presentando la trama di un giallo con dei colpevoli imprevedibilmente legati a doppio filo alla vita della protagonista, due persone resesi responsabili del grave incidente che ha provocato la morte della sua piccola durante il soggiorno in un castello/residence francese. 
Da questo tragico evento, scopriamo la storia di Violette, quasi imparando a volerle bene. 
Questa è una caratteristica dello stile della Perrin che, attraverso una scrittura umile e dimessa che rifiuta l'artificio retorico o il richiamo letterario alle parole desuete e colte, insegue le piccole cose, i gesti, gli sguardi,i piccolo tic che caratterizzano azioni e vita dei suoi personaggi, aprendo squarci sulla loro anima. Ambienti e vestiti e tazzine di the,patatine fritte nei pub affianco ai motel, bambole di plastica dagli inquietanti occhi di vetro, bottiglie di alcolici, insalate vegane, il nastro unto della cassa di un supermercato e piantine di pomodori nell'orto ci raccontano vite, attimi, umori e giorni scivolati via nella vita di ogni giorno, ciascuno con un senso. E i personaggi ci diventano familiari, sentiamo le loro emozioni e viviamo i loro pensieri come se fossero intimi amici che manifestano il proprio esistere al nostro cospetto.
La vita di Violette è una vita costellata da abbandoni. Cresciuta in una casa famiglia (non a caso il suo libro-ossessione è "Le regole della casa del sidro" di Irving) quasi abbandonata a se stessa, incontra nel locale notturno dove lavora un uomo che la rovina, scegliendola per pura attrazione fisica; un uomo il quale, costretto a tenerla con sé come compagna per il sopraggiungere di una gravidanza, la abbandona ogni giorno per mille avventure amorose, giri in moto, la rinnega nei discorsi di disprezzo dei suoi genitori e le scarica tutte le responsabilità del lavoro, del sostentamento loro e della loro bambina, e la sua crescita. Violette lavora per sé e per lui, Violette si occupa di lui, della bambina, della casa e di ogni aspetto della loro vita, Violette si carica del peso del lutto, Violette sceglie di andare a lavorare nel cimitero dove la figlia è sepolta. A poco vale il tentativo di riabilitazione dell'autrice di questo personaggio di statura meschina: Philippe Touissant (Ognissanti che lavora al cimitero, tratto giocoso dell'autrice) ama perdutamente la moglie dello zio per lui impossibile fino a quando lo zio è in vita e per questo si butta via  in mille relazioni fisiche tra cui quella duratura con la povera Violette che gli fa da badante e mamma di sua figlia. I dolori di un amore non vissuto perché impossibile sono piccole attenuanti rispetto alle venature narcisistiche di un personaggio debole ed egoista che, di fronte al peso della responsabilità della morte della figlia, sceglie prima la rimozione della vecchia vita ricominciando da zero da un'altra parte e poi il suicidio. 
Ultimo ma centrale tema del romanzo che illumina di rosa tutto questo fosco paesaggio: il tema dell'orto, dell'amore e della guarigione. 
Cambiare l'acqua ai fiori è un rituale comune per chi si occupa delle tombe. Poi, però, Violette comincia a coltivare e vendere i fiori per arrotondare lo stipendio, quindi si appassiona all'orto che, sul retro della casa da guardiana, le offre lo spettacolo della vita che nasce su un terreno concimato dalla morte, la soddisfazione di produrre per sé i frutti dell'amore per la terra, comprendendo il valore del sentimento, dell'osservazione del vento e del ritmo delle fasi lunari, il dialogo della natura con l'uomo che caratterizza la primigenia forma della felicità: lo stato di natura. 
Iniziatore di questa trasformazione è Sasha, una sorta di erborista, taumaturgo, pranoterapeuta e psicologo che le insegna a tornare alla vita mostrandole il percorso della rinascita un passo per volta fino a lasciarla sola e responsabile nel suo cammino. Ed è così che la vede e trova Julien, visitatore del cimitero e suo nuovo amore con cui ripercorrerà la storia d'amore difficile della madre, li' sepolta, per un uomo scostante e inafferabile, attraverso diari incrociati e intrecciati con il racconto dell'amore di Julien e Violette. Il lettore ad un certo punto fa fatica a distinguere le due storie in corso, per certi tratti molto simili. Così lui la vedrà: una guardiana di cimitero con vestiti colorati, rosa carminio, o a fiori rossi sotto il mantello nero, cappotti scuri, come in un'estate dell'anima travestita da inverno in esterno. Un'immagine che fa tornare alla mente quella idea così tipica delle filosofie orientali che vedono nell'inverno la stagione non della morte ma della rinascita della natura perché e' il tempo in cui sotto la neve i nuovi semi riposano e lentamente si preparano a germogliare. L'estate dentro, l'inverno fuori. Le epigrafi ad inizio di ogni paragrafo. Le canzoni d'amore di Charles Trenet citate qui e là. Un romanzo che dipinge la vita.


“Invincibile estate”

Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore

Albert Camus

giovedì 29 agosto 2024

Hai Vent'anni

 


Foto mia❤️🌴


"Ci mandiamo

una foto del tramonto

quando non siamo vicini?

È un po' come guardarci, rubarci

gli occhi e invertirci i cammini.

L'esodo del sole che saluta i monti

le acque cullano gli stormi:

io ti penso e sono nel vento

destati! -

-non rigettare il brivido, accoglilo

lungo la schiena guidalo

subito dopo sarà calore -

l'arancio nel cielo - è l'identico.

Se guardi nel giorno

il suo addio

lì ci sono io."

da "Hai Vent'anni" di Gennaro Madera

martedì 20 agosto 2024

Marion

 

#cinema #wimwenders #monologhi #ilcielosopraberlino #wingsofdesire

Uno dei monologhi più intensi del cinema di ogni tempo. E un altro film che è mio.

Marion, una trapezista di un circo sfortunato che va in scena vestita come un angelo (abito che con sarcasmo lei stessa definisce veste con ali di pollo), racconta a se stessa i propri sogni, delusioni, paure, i voli e le cadute, di fronte a un futuro ignoto di cui cerca il senso, prima di incontrare l'amore vero, un angelo, appunto, che si farà uomo per amarla e salvarla, rinunciando all'eternità, 
un angelo che per lei abbandona i cieli di Berlino, dove, insieme ad altri angeli, ascoltava e consolava i pensieri di uomini e donne soli.
 Un film che ha fatto epoca "Il cielo sopra Berlino" (1987) dello sceneggiatore e regista tedesco Wim Wenders, premiato al Festival di Cannes per la miglior regia (1987) e che ha aperto la via a numerosi riconoscimenti per il regista.



Il cielo sopra Berlino: monologo di Marion

Ecco, è finita, neanche una stagione. Neppure stavolta ho avuto il tempo di portare qualcosa a compimento.

Il mio sogno del circo, dieci anni, un bel ricordo.

Questa sera è l’ultima col mio buon vecchio numero. E poi è anche luna piena. La trapezista si rompe l’osso del collo.

Sta’ zitta, zitta…

(…)

Spesso parlo da sola, solo per imbarazzo in momenti come questi, come adesso.

Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?

Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora.

Vivere, basta uno sguardo.

Il circo mi mancherà.

È buffo, non sento niente. È la fine e non sento niente.

Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente.

Come se il dolore non avesse un passato.

Tutta la gente che ho conosciuto, che resta e resterà nella mia memoria; finisce proprio mentre sta per cominciare. Era troppo bello per essere vero.

Finalmente fuori in città. Chi sono io, chi sono diventata? La maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un’eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa. Poi sono andata all’estero. Qualcuno che dicesse: “oggi ti amo tanto”, come sarebbe bello. Devo solo alzare la testa e il mondo si apre davanti ai miei occhi… mi sale nel cuore.

Quando ero bambina volevo viere su un’isola. Una donna sola, potentemente sola. Sì. È così.

È tutto così vuoto, slegato. Il vuoto, l’angoscia. Angoscia, angoscia, angoscia. Come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu?

Non lo so più. So solo che non farò più la trapezista. Basta col trapezio. Le decisioni improvvise, alle quali si crede.

Ma non piangere, veramente l’ultima cosa da fare è mettersi a piangere. Succede così. Dipende; non è mica sempre tutto così come si vuole.
Così vuoto, tutto così vuoto…

Che devo fare? Non pensare più a nulla. Semplicemente esserci. Berlino. Qui sono straniera e tuttavia tutto è così familiare. In ogni caso non si ci può perdere, si arriva sempre al muro. Aspetterò davanti a un automatico e poi verrà fuori una foto con un altro viso. Così potrebbe cominciare una storia. Delle facce, ho voglia di vedere facce. Forse trovo un posto come cameriera.

Ho paura di questa sera. È idiota. L’angoscia mi fa male perché solo una parte di me ha l’angoscia e l’altra non ci crede. Come devo vivere?

Forse non è per niente questo il problema. Come devo pensare? So così poco.

E forse è perché sono sempre così curiosa. Talvolta penso in modo così sbagliato perché penso…

Come se parlassi contemporaneamente a qualcun altro. All’interno degli occhi chiusi… chiudere un’altra volta gli occhi. Allora anche le pietre sono vive…

Stare in mezzo ai colori; i colori, le luci al neon nel chiaro della sera; il metrò rosso e giallo.

Devo solo essere pronta e tutti gli uomini del mondo mi guarderanno… Nostalgia, nostalgia di un’onda d’amore che salga dentro di me.

È questo che mi rende sempre così incapace: l’assenza di piacere.

Il piacere d’amare…

mercoledì 14 agosto 2024

Dimezzati e vivi

#ilviscontedimezzato #italocalvino #oscarmondadori #scrittoriitaliani #novecentoitaliano


~~~Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.~~~

Il dolore ci spezza in due, ci priva di metà del nostro essere, ci toglie l'innocenza e ci getta nella crudeltà che a volte può caratterizzare la vita. Ma il dolore ci arricchisce, ci rende sensibili, umani, veri, capaci di guardare chi soffre come noi come un fratello e curarne le ferite come curiamo le nostre. Ci riconduce ai valori fondamentali, a quegli affetti che sono alle radici del nostro esistere, ci offre, a caro prezzo, la consapevolezza di ciò che conta davvero. Cose che possiamo conoscere solo da spezzati, dopo essere stati tagliati a metà dal dolore e che ignoravano da interi, quando ci aggiravamo per il mondo credendolo un giardino dove vivere felici e spensierati.

Italo Calvino, nel romanzo "Il visconte dimezzato" (1952) scriveva così:


~~Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.
(…) O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza.
Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere.
Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo.
Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.~~


giovedì 8 agosto 2024

Farò della mia anima uno scrigno

photo by Margherita Gargano 

L'Amore rappresentato come risveglio spirituale è il tema principale della poesia dell'artista libanese Gibran, vissuto in un'esile vita tra Libano e Usa tra Ottocento e Novecento. Una primavera dell'anima che diventa fioritura, suono di campane a valle e risacca del mare, come in un desiderio di fusione panico con l'universo pervaso da correnti energetiche misteriose, in perfetta linea con il simbolismo decadente europeo, in Italia con i nostri D'Annunzio e Pascoli, in Francia con i poeti maledetti. Movimento eterogeneo che attraverso le sue diverse manifestazioni poetiche dà voce con parole preziose ai segreti di un'Anima mundi che è linfa vitale di tutti i fenomeni di nascita e vita della natura. In Gibran la parola si fa nuda essenziale, scarna e trova il suo carattere prezioso più nel contenuto e nei significati accessori che nella rarità del lemma. In questo troviamo la ragione della modernità del poeta e, unita alle sue tematiche, la ragione della sua fortuna presso la cultura New age degli anni Ottanta e la cultura della protesta per i diritti civili dagli anni Sessanta in poi, in Usa e in Europa. Tante, infatti, sono le letture possibili della sua idea assoluta di amore, da sentimento universale che affratella uomini di ogni parte e condizione, a sentimento che riconduce l'uomo al suo rapporto di filiazione con la terra madre, fino al sentimento erotico, intimo, che fonda la connessione tra due persone.
Qui, una delle sue poesie più rappresentative.



Farò della mia anima uno scrigno

per la tua anima,

del mio cuore una dimora

per la tua bellezza,

del mio petto un sepolcro

per le tue pene.

Ti amerò come le praterie amano la primavera,

e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.

Canterò il tuo nome come la valle

canta l’eco delle campane;

ascolterò il linguaggio della tua anima

come la spiaggia ascolta

la storia delle onde.

Kahil Gibran, dalla raccolta " Ali spezzate"


 


mercoledì 31 luglio 2024

COLAZIONE DA TIFFANY

 




- è come da Tiffany.

-Tiffany? Intende la gioielleria?

- Sì. Io vado pazza per Tiffany. Specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.     

- Vuol dire quando è triste?

- No,uno è triste perché si accorge che sta ingrassando o perché piove. Ma è diverso. No, le paturnie sono orribili: è come un’improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a lei? 

Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. E’ una cosa che mi calma subito, quel silenzio, quell’aria superba: non può capitare niente di brutto là dentro. 

Se potessi trovare un posto nella vita reale che mi faccia sentire come da Tiffany allora...

Poi comprerei dei mobili e darei un nome al gatto”

E questo film è il mio film. Non c'è molto da aggiungere. Audrey ed io abbiamo un solo sentire

Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany's) è un film del 1961 diretto da Blake Edwards, con Audrey Hepburn e George Peppard, tratto dall'omonimo romanzo del 1958 di Truman Capote.

Il film ha un lieto fine consolante, diversamente da quanto accade nel romanzo, piccolissimo e molto portabile e leggero in borsa, libro che a breve leggerò.

La locandina del film è uno dei miei poster personali preferiti

Mitica la canzone "Moon river" di Henry Mancini, scritta per il film e interpretata dalla Hepburn, musica che vinse l'Oscar come migliore colonna sonora del 1961



giovedì 18 luglio 2024

Rondini al guinzaglio

 #ultimo #colpadelle favole


Photo by Margherita Gargano 

Portami a sentire le onde del marePortami vicino le cose lontanePortami dovunque basta che ci sia postoPer una birra e qualche vecchio rimpiantoE portami a sentire il rumore del ventoChe tanto torneresti in qualsiasi momentoPortami dovunque basta che ci sia postoPer un sorriso e qualche vecchio rimpianto
Dove vuoi, non dove saiDove esisti e non ci sei
Portami con tePortami con teDove tutto si trasformaDove il mondo non mi toccaE portami con tePortami con teDov'è leggero il mio bagaglioDove mi ami anche se sbaglioDove vola e si ribellaOgni rondine al guinzaglio
E portami al sicuro ma senza parlareE lascia che lo faccia il tuo modo di farePortami di corsa in un ponte lì in altoChe unisce il tuo dolore al tuo solito incantoE portami ti prego dove preferisciDove se metti piede in un attimo esistiPerché non c'è risposta alle cose passateTu portami ad amare le cose mai amate
E dove vuoi, non dove saiDove esisti e non ci sei
Tu portami con tePortami con teDove tutto si trasformaDove il mondo non mi toccaE portami con teTu portami con teDov'è leggero il mio bagaglioDove mi ami anche se sbaglioDove vola e si ribellaOgni rondine al guinzaglio
Dove il cielo si muove se lo guardi attentamenteDove basta un minuto intenso per vivere sempreDove piove ma tu esci per bagnare la mentePerché se la vita è nostra non ci ostacola nienteDove al posto dei piedi hai due pagine vuoteE ogni passo che compi loro scritturano noteDove il sole è un'ipotesi e tu puoi solo pensarloMa ti basta perché ti riempi di idee per nutrirloQuando sarà primavera
Tu portami con tePortami con teDove tutto si trasformaDove il mondo non mi toccaE portami con teTu portami con teDov'è leggero il mio bagaglioDove mi ami anche se sbaglioDove vola e si ribellaOgni rondine al guinzaglio


Photo by Margherita Gargano


domenica 7 luglio 2024

Il Nome della Rosa e il potere della letteratura

Recensione di Margherita Gargano


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"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"

 "La prima rosa esiste nel suo nome. Delle cose conserviamo solo nomi e non la loro essenza".

Umberto Eco conclude così il suo romanzo storico/giallo che racconta di indagini e misteri intorno a morti sospette in un monastero benedettino del Nord Italia del XIV sec. Un monaco detective, Guglielmo di Baskerville e il suo adepto Adso da Melk, assistono, inizialmente impotenti, ad una serie di omicidi senza firma che si consumano nella ordinaria vita, così riccamente descritta ,del monastero in cui si trovano a causa di un delicato convegno; eventi ed omicidi si intrecciano in un inspiegabile dilemma; i due protagonisti, così, incaricati dall'abate che ha perso il fratello e si preoccupa di arrivare al colpevole per confutare le voci sulla venuta dell'Antictisto nel monastero, si misurano con scomode verità e sfidano le autorità per arrivare ad una verità che è una rivelazione filosofica e una riflessione sul potere e sul potere della parola. 




La paura di perdere la giurisdizione sull'abbazia è la motivazione che spinge il mandante dell'inchiesta, l'abate, alla ricerca della verità. Un conflitto di potere tra imperatore Ludovico, sostenitore degli ordini mendicanti come francescani e benedettini che vivevano solo di elemosina, e il papa Giovanni XXII di Avignone che si dichiarava fiero oppositore delle tesi pauperistiche, perché riteneva più che opportuni i sostegni economici alla Chiesa, è all'origine del convegno che conduce Guglielmo, ex inquisitore pentito e domenicano, al convento, insieme al suo discepolo Adso che da figura minore, viene eletto dall'autore come narratore interno al romanzo. Conflitti di potere tra impero e papato, tra regno terreno e regno dei cieli, tra abbazie sul territorio, tra elementi che sono anelli della gerarchia ecclesiastica, tra virtù e vizio, tra verità e compromesso politico, tra coscienza e inganno, e tra vita e morte, fanno di questo microcosmo una polveriera pronta ad esplodere in mille colpi di scena che rendono viva la materia erudita e storico-filosofica che arricchisce le pagine del romanzo e che viene così offerta e resa interessante anche ai non addetti ai lavori.




Il finale, che riprende un pensiero di Bernardo di Cluny del X sec. riesce a dare nuova luce a questo verso. Se del mondo del passato ci restano solo nomi e non realtà oggettiva, fisica e spirituale, pur tuttavia questi nomi, ovvero queste parole hanno un potere tale da influire sulla nostra vita, hanno il potere di salvare o uccidere, come nel caso del manoscritto di Aristotele nel romanzo, hanno il potere di manipolare le coscienze o illuminarle a nuova verità.

Intrighi, veleni, vizi dei monaci, scandali sommersi, pratiche sataniche, accanto ad esempio di santità e devozione e spirito di servizio ci aprono finestre su un mondo umano prima che religioso declinato in tutte le sue varietà, dai gironi infernali alle cornici del Purgatorio, per citare un illustre precedente.

La biblioteca, cassaforte di segreti strategici e teatro di omicidi, è il centro del potere spirituale, politico, religioso, e non ha caso ha la forma di un labirinto simile, forse, al labirinto di Castel del Monte in Puglia. Il labirinto è il luogo fisico per le vie contorte che impediscono il ricongiungimento alla verità ed è il luogo del potere della parola e del potere tout court.



 Nel finale, dunque, Umberto Eco, semiologo, scrittore, docente universitario che della ricerca sul potere della parola ha fatto il centro della propria speculazione, con un colpo di teatro finale sancisce, con una sorta di considerazione finale, il potere della parola e della letteratura, strumento di potere o di rivoluzione delle coscienze e, in forma di corollario, esalta il potere del riso come sberleffo irriverente a chi domina e quindi come forma di resistenza alla sudditanza alle verità preconfezionate.



L'ironia, saggiamente esaltata da Aristotele. I filosofi greci, si sa, avevano compreso tutto dei misteri della vita e dell'uomo. I filosofi venuti dopo si sono potuti misurare con la realtà da afferrare e comprendere solo come "nani sulle spalle dei giganti" (citando il filosofo francese medievale Bernando di Chartres che si riferiva alla civiltà classica in senso ampio) capaci di guardare al futuro solo perché seduti sulle montafne di cultura e riflessioni degli autori che hanno disegnato e dato sostanza alla culla della civiltà occidentale.

Viene in mente un famoso monologo di Luciano De Crescenzo che tanto amo' la filosofia greca, presente nel film "Così parlò Bellavista" tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore, regista, attore partenopeo che recita grossomodo così: 

" Tenetevi lontani dalle persone con una fede incrollabile, quelli che mettono un punto esclamativo alla fine di ogni frase, quelli che si professano depositari di un'unica verità. Questi sono da evitare. La fede è violenza, la fede in qualunque cosa. Quando invece incontrate una persona con i dubbi, che mette sempre punti interrogativi, allora frequentatela. Quella è una brava persona, una persona perbene, che rispetta tutti e non ha certezze incrollabili."

Ipse dixit...

Se amate il Medioevo e volete una full immersion super interessante non perdetevi "I PILASTRI DELLA TERRA" di Ken Follet, un romanzo che costruisce un microcosmo di eventi personaggi e storie che catturera' le vostre energie e attenzioni fino all'ultima pagina.



sabato 29 giugno 2024

Inside out 2



 


Impressioni a caldo. Un film che mescola significati profondi e momenti comici da cartoon, una grafica perfetta, e in questo la Pixar è maestra, una colonna sonora che con garbo accompagna il gioco delle immagini, pregevole il momento in cui si mostra l'antro magico dove si struttura la personalità di Riley attraverso filamenti brillanti corrispondenti alle idee base del suo sé. Emozioni complesse in gioco, emozioni represse, proiezioni angoscianti notturne, racconto di un attacco di panico in corso da un POV interno ed esterno, valori traditi e ritrovati, paure di non essere integrati, accettati, inseriti in un contesto, di non avere un'immagine da vincenti. La vita come palestra per non tradire se stessi, la perdita  del ruolo unico e totalizzante della gioia dell'infanzia come emozione sovrana ma suo reinserimento nel gioco delle emozioni in un ruolo nuovo che mescola entusiasmo e consapevolezza dove ogni emozione e ogni atteggiamento, persino il sarcasmo, il disprezzo o la preoccupazione hanno un proprio perché. 


Commuove come liberatorio il finale in cui si assiste alla costruzione del se' di una persona come una rosa di cristallo in continuo mutamento e che accoglie in sé ogni colore e ogni emozione,  dalla gioia al disgusto, dalla noia alla tristezza, con momenti di altruismo e di egoismo, di celebrazione di sé e di autosabotaggio. Perché questo è il messaggio più importante di InsideOut2, imparare ad accogliere ogni propria emozione, e accettarla senza adattare a se stessi un vestito di un falso sé, che sia di una perfezione di carriera o una perfezione di attitudine dell'animo. Siamo umani, abbiamo in noi mille emozioni.




 Un appunto, ironico, alla Disney. Ãˆ vero che vedere Inside out 2 è più liberatorio di una seduta dallo psicologo ma, dobbiamo dirlo, ha il limite di fermarsi agli eventi della vita di una ragazza di 13 anni. Portatecelo all'eta' adulta. Ci mancano in mezzo qualche decina di anni e di gioie esaltanti e di devastanti traumi, con le emozioni che si mescolano, aggrovigliano, annodano grazie ad ANSIA, una signora emozione che decide delle nostre vite giorno dopo giorno e che purtroppo cresce insieme a noi. Chiediamo agli autori un update con Inside 3 e 4. Anyway, un film bellissimo. Da vedere e per tutte le età.  InsideOut2

domenica 12 maggio 2024

HANNIGAN, ZORN, CHAMAYOU

San Carlo days, musica contemporanea. Un recital pianoforte e voce tutto sul Novecento. Le parole d'ordine sono quindi atonalita', frammentazione del tempi musicale in istanti, teatralità espressionista. Nei canti di cielo e di terra la cantante alterna canto spiegato a parlato spezzato o versi di uccellino (non dimentichiamo che Messiaen amava gli uccelli al punto da studiarli scientificamente da ornitologo). I due brani di Skrjabin sono pura estasi nel fuoco. L'ascoltatore è rapito dal gioco delle fiamme musicali che da deboli diventano irruenti e viceversa in un gioco di chiaroscuri timbrici e agogici. Bravissimi e quasi eroici gli interpreti, la cantante Barbara Hannigan dalle risorse vocali incredibili, dal morbido legato al sibilo o all'urlo e il pianista Bertrand Chamayou che ha restituito a Messiaen tutta l'eleganza tipicamente francese (basti pensare al conterraneo Poulenc) con un tocco pianistico 3d e a Skrjabin tutta la carica espressiva allusiva. Un po' più discontinui gli esiti di Jumalattaret di Zorn, compositore americano contemporaneo che ha scritto questo ciclo di canzoni proprio per la Hannigan ispirandosi ad un poema epico finlandese. Ed è davvero epica l'impresa della cantante che qui sibila, urla, parla, canta e miagola passeggiando con la voce per due tre ottave e quasi arrampicandosi fisicamente sulla cassa armonica. Alziamo le mani, è musica contemporanea. Mah! Interessante la parte pianistica che alterna sezioni minimal jazz a parti espressionistiche percussive sempre incastrandosi su parlato, canti, urla e miagolii della cantante. Il pianoforte viene anche pizzicato direttamente sulle corde o preparato con oggetti nella cassa, oltre a dover resistere ai finti assalti della cantante. Povero pianoforte. Applausi per tutti, ma niente bis. Peccato.

Incontro con il pianista Hamelin

    Ci sono concerti unici nel loro happening e che lasciano il segno nelle pagine dei ricordi della vita musicale cittadina e universale. I...