giovedì 29 agosto 2024

Hai Vent'anni

 


Foto mia❤️🌴


"Ci mandiamo

una foto del tramonto

quando non siamo vicini?

È un po' come guardarci, rubarci

gli occhi e invertirci i cammini.

L'esodo del sole che saluta i monti

le acque cullano gli stormi:

io ti penso e sono nel vento

destati! -

-non rigettare il brivido, accoglilo

lungo la schiena guidalo

subito dopo sarà calore -

l'arancio nel cielo - è l'identico.

Se guardi nel giorno

il suo addio

lì ci sono io."

da "Hai Vent'anni" di Gennaro Madera

martedì 20 agosto 2024

Marion

 

#cinema #wimwenders #monologhi #ilcielosopraberlino #wingsofdesire

Uno dei monologhi più intensi del cinema di ogni tempo. E un altro film che è mio.

Marion, una trapezista di un circo sfortunato che va in scena vestita come un angelo (abito che con sarcasmo lei stessa definisce veste con ali di pollo), racconta a se stessa i propri sogni, delusioni, paure, i voli e le cadute, di fronte a un futuro ignoto di cui cerca il senso, prima di incontrare l'amore vero, un angelo, appunto, che si farà uomo per amarla e salvarla, rinunciando all'eternità, 
un angelo che per lei abbandona i cieli di Berlino, dove, insieme ad altri angeli, ascoltava e consolava i pensieri di uomini e donne soli.
 Un film che ha fatto epoca "Il cielo sopra Berlino" (1987) dello sceneggiatore e regista tedesco Wim Wenders, premiato al Festival di Cannes per la miglior regia (1987) e che ha aperto la via a numerosi riconoscimenti per il regista.



Il cielo sopra Berlino: monologo di Marion

Ecco, è finita, neanche una stagione. Neppure stavolta ho avuto il tempo di portare qualcosa a compimento.

Il mio sogno del circo, dieci anni, un bel ricordo.

Questa sera è l’ultima col mio buon vecchio numero. E poi è anche luna piena. La trapezista si rompe l’osso del collo.

Sta’ zitta, zitta…

(…)

Spesso parlo da sola, solo per imbarazzo in momenti come questi, come adesso.

Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?

Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora.

Vivere, basta uno sguardo.

Il circo mi mancherà.

È buffo, non sento niente. È la fine e non sento niente.

Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente.

Come se il dolore non avesse un passato.

Tutta la gente che ho conosciuto, che resta e resterà nella mia memoria; finisce proprio mentre sta per cominciare. Era troppo bello per essere vero.

Finalmente fuori in città. Chi sono io, chi sono diventata? La maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un’eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa. Poi sono andata all’estero. Qualcuno che dicesse: “oggi ti amo tanto”, come sarebbe bello. Devo solo alzare la testa e il mondo si apre davanti ai miei occhi… mi sale nel cuore.

Quando ero bambina volevo viere su un’isola. Una donna sola, potentemente sola. Sì. È così.

È tutto così vuoto, slegato. Il vuoto, l’angoscia. Angoscia, angoscia, angoscia. Come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu?

Non lo so più. So solo che non farò più la trapezista. Basta col trapezio. Le decisioni improvvise, alle quali si crede.

Ma non piangere, veramente l’ultima cosa da fare è mettersi a piangere. Succede così. Dipende; non è mica sempre tutto così come si vuole.
Così vuoto, tutto così vuoto…

Che devo fare? Non pensare più a nulla. Semplicemente esserci. Berlino. Qui sono straniera e tuttavia tutto è così familiare. In ogni caso non si ci può perdere, si arriva sempre al muro. Aspetterò davanti a un automatico e poi verrà fuori una foto con un altro viso. Così potrebbe cominciare una storia. Delle facce, ho voglia di vedere facce. Forse trovo un posto come cameriera.

Ho paura di questa sera. È idiota. L’angoscia mi fa male perché solo una parte di me ha l’angoscia e l’altra non ci crede. Come devo vivere?

Forse non è per niente questo il problema. Come devo pensare? So così poco.

E forse è perché sono sempre così curiosa. Talvolta penso in modo così sbagliato perché penso…

Come se parlassi contemporaneamente a qualcun altro. All’interno degli occhi chiusi… chiudere un’altra volta gli occhi. Allora anche le pietre sono vive…

Stare in mezzo ai colori; i colori, le luci al neon nel chiaro della sera; il metrò rosso e giallo.

Devo solo essere pronta e tutti gli uomini del mondo mi guarderanno… Nostalgia, nostalgia di un’onda d’amore che salga dentro di me.

È questo che mi rende sempre così incapace: l’assenza di piacere.

Il piacere d’amare…

mercoledì 14 agosto 2024

Dimezzati e vivi

#ilviscontedimezzato #italocalvino #oscarmondadori #scrittoriitaliani #novecentoitaliano


~~~Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.~~~

Il dolore ci spezza in due, ci priva di metà del nostro essere, ci toglie l'innocenza e ci getta nella crudeltà che a volte può caratterizzare la vita. Ma il dolore ci arricchisce, ci rende sensibili, umani, veri, capaci di guardare chi soffre come noi come un fratello e curarne le ferite come curiamo le nostre. Ci riconduce ai valori fondamentali, a quegli affetti che sono alle radici del nostro esistere, ci offre, a caro prezzo, la consapevolezza di ciò che conta davvero. Cose che possiamo conoscere solo da spezzati, dopo essere stati tagliati a metà dal dolore e che ignoravano da interi, quando ci aggiravamo per il mondo credendolo un giardino dove vivere felici e spensierati.

Italo Calvino, nel romanzo "Il visconte dimezzato" (1952) scriveva così:


~~Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.
(…) O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza.
Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere.
Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo.
Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.~~


giovedì 8 agosto 2024

Farò della mia anima uno scrigno

photo by Margherita Gargano 

L'Amore rappresentato come risveglio spirituale è il tema principale della poesia dell'artista libanese Gibran, vissuto in un'esile vita tra Libano e Usa tra Ottocento e Novecento. Una primavera dell'anima che diventa fioritura, suono di campane a valle e risacca del mare, come in un desiderio di fusione panico con l'universo pervaso da correnti energetiche misteriose, in perfetta linea con il simbolismo decadente europeo, in Italia con i nostri D'Annunzio e Pascoli, in Francia con i poeti maledetti. Movimento eterogeneo che attraverso le sue diverse manifestazioni poetiche dà voce con parole preziose ai segreti di un'Anima mundi che è linfa vitale di tutti i fenomeni di nascita e vita della natura. In Gibran la parola si fa nuda essenziale, scarna e trova il suo carattere prezioso più nel contenuto e nei significati accessori che nella rarità del lemma. In questo troviamo la ragione della modernità del poeta e, unita alle sue tematiche, la ragione della sua fortuna presso la cultura New age degli anni Ottanta e la cultura della protesta per i diritti civili dagli anni Sessanta in poi, in Usa e in Europa. Tante, infatti, sono le letture possibili della sua idea assoluta di amore, da sentimento universale che affratella uomini di ogni parte e condizione, a sentimento che riconduce l'uomo al suo rapporto di filiazione con la terra madre, fino al sentimento erotico, intimo, che fonda la connessione tra due persone.
Qui, una delle sue poesie più rappresentative.



Farò della mia anima uno scrigno

per la tua anima,

del mio cuore una dimora

per la tua bellezza,

del mio petto un sepolcro

per le tue pene.

Ti amerò come le praterie amano la primavera,

e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.

Canterò il tuo nome come la valle

canta l’eco delle campane;

ascolterò il linguaggio della tua anima

come la spiaggia ascolta

la storia delle onde.

Kahil Gibran, dalla raccolta " Ali spezzate"


 


mercoledì 31 luglio 2024

COLAZIONE DA TIFFANY

 




- è come da Tiffany.

-Tiffany? Intende la gioielleria?

- Sì. Io vado pazza per Tiffany. Specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.     

- Vuol dire quando è triste?

- No,uno è triste perché si accorge che sta ingrassando o perché piove. Ma è diverso. No, le paturnie sono orribili: è come un’improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a lei? 

Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. E’ una cosa che mi calma subito, quel silenzio, quell’aria superba: non può capitare niente di brutto là dentro. 

Se potessi trovare un posto nella vita reale che mi faccia sentire come da Tiffany allora...

Poi comprerei dei mobili e darei un nome al gatto”

E questo film è il mio film. Non c'è molto da aggiungere. Audrey ed io abbiamo un solo sentire

Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany's) è un film del 1961 diretto da Blake Edwards, con Audrey Hepburn e George Peppard, tratto dall'omonimo romanzo del 1958 di Truman Capote.

Il film ha un lieto fine consolante, diversamente da quanto accade nel romanzo, piccolissimo e molto portabile e leggero in borsa, libro che a breve leggerò.

La locandina del film è uno dei miei poster personali preferiti

Mitica la canzone "Moon river" di Henry Mancini, scritta per il film e interpretata dalla Hepburn, musica che vinse l'Oscar come migliore colonna sonora del 1961



giovedì 18 luglio 2024

Rondini al guinzaglio

 #ultimo #colpadelle favole


Photo by Margherita Gargano 

Portami a sentire le onde del marePortami vicino le cose lontanePortami dovunque basta che ci sia postoPer una birra e qualche vecchio rimpiantoE portami a sentire il rumore del ventoChe tanto torneresti in qualsiasi momentoPortami dovunque basta che ci sia postoPer un sorriso e qualche vecchio rimpianto
Dove vuoi, non dove saiDove esisti e non ci sei
Portami con tePortami con teDove tutto si trasformaDove il mondo non mi toccaE portami con tePortami con teDov'è leggero il mio bagaglioDove mi ami anche se sbaglioDove vola e si ribellaOgni rondine al guinzaglio
E portami al sicuro ma senza parlareE lascia che lo faccia il tuo modo di farePortami di corsa in un ponte lì in altoChe unisce il tuo dolore al tuo solito incantoE portami ti prego dove preferisciDove se metti piede in un attimo esistiPerché non c'è risposta alle cose passateTu portami ad amare le cose mai amate
E dove vuoi, non dove saiDove esisti e non ci sei
Tu portami con tePortami con teDove tutto si trasformaDove il mondo non mi toccaE portami con teTu portami con teDov'è leggero il mio bagaglioDove mi ami anche se sbaglioDove vola e si ribellaOgni rondine al guinzaglio
Dove il cielo si muove se lo guardi attentamenteDove basta un minuto intenso per vivere sempreDove piove ma tu esci per bagnare la mentePerché se la vita è nostra non ci ostacola nienteDove al posto dei piedi hai due pagine vuoteE ogni passo che compi loro scritturano noteDove il sole è un'ipotesi e tu puoi solo pensarloMa ti basta perché ti riempi di idee per nutrirloQuando sarà primavera
Tu portami con tePortami con teDove tutto si trasformaDove il mondo non mi toccaE portami con teTu portami con teDov'è leggero il mio bagaglioDove mi ami anche se sbaglioDove vola e si ribellaOgni rondine al guinzaglio


Photo by Margherita Gargano


domenica 7 luglio 2024

Il Nome della Rosa e il potere della letteratura

Recensione di Margherita Gargano


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"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"

 "La prima rosa esiste nel suo nome. Delle cose conserviamo solo nomi e non la loro essenza".

Umberto Eco conclude così il suo romanzo storico/giallo che racconta di indagini e misteri intorno a morti sospette in un monastero benedettino del Nord Italia del XIV sec. Un monaco detective, Guglielmo di Baskerville e il suo adepto Adso da Melk, assistono, inizialmente impotenti, ad una serie di omicidi senza firma che si consumano nella ordinaria vita, così riccamente descritta ,del monastero in cui si trovano a causa di un delicato convegno; eventi ed omicidi si intrecciano in un inspiegabile dilemma; i due protagonisti, così, incaricati dall'abate che ha perso il fratello e si preoccupa di arrivare al colpevole per confutare le voci sulla venuta dell'Antictisto nel monastero, si misurano con scomode verità e sfidano le autorità per arrivare ad una verità che è una rivelazione filosofica e una riflessione sul potere e sul potere della parola. 




La paura di perdere la giurisdizione sull'abbazia è la motivazione che spinge il mandante dell'inchiesta, l'abate, alla ricerca della verità. Un conflitto di potere tra imperatore Ludovico, sostenitore degli ordini mendicanti come francescani e benedettini che vivevano solo di elemosina, e il papa Giovanni XXII di Avignone che si dichiarava fiero oppositore delle tesi pauperistiche, perché riteneva più che opportuni i sostegni economici alla Chiesa, è all'origine del convegno che conduce Guglielmo, ex inquisitore pentito e domenicano, al convento, insieme al suo discepolo Adso che da figura minore, viene eletto dall'autore come narratore interno al romanzo. Conflitti di potere tra impero e papato, tra regno terreno e regno dei cieli, tra abbazie sul territorio, tra elementi che sono anelli della gerarchia ecclesiastica, tra virtù e vizio, tra verità e compromesso politico, tra coscienza e inganno, e tra vita e morte, fanno di questo microcosmo una polveriera pronta ad esplodere in mille colpi di scena che rendono viva la materia erudita e storico-filosofica che arricchisce le pagine del romanzo e che viene così offerta e resa interessante anche ai non addetti ai lavori.




Il finale, che riprende un pensiero di Bernardo di Cluny del X sec. riesce a dare nuova luce a questo verso. Se del mondo del passato ci restano solo nomi e non realtà oggettiva, fisica e spirituale, pur tuttavia questi nomi, ovvero queste parole hanno un potere tale da influire sulla nostra vita, hanno il potere di salvare o uccidere, come nel caso del manoscritto di Aristotele nel romanzo, hanno il potere di manipolare le coscienze o illuminarle a nuova verità.

Intrighi, veleni, vizi dei monaci, scandali sommersi, pratiche sataniche, accanto ad esempio di santità e devozione e spirito di servizio ci aprono finestre su un mondo umano prima che religioso declinato in tutte le sue varietà, dai gironi infernali alle cornici del Purgatorio, per citare un illustre precedente.

La biblioteca, cassaforte di segreti strategici e teatro di omicidi, è il centro del potere spirituale, politico, religioso, e non ha caso ha la forma di un labirinto simile, forse, al labirinto di Castel del Monte in Puglia. Il labirinto è il luogo fisico per le vie contorte che impediscono il ricongiungimento alla verità ed è il luogo del potere della parola e del potere tout court.



 Nel finale, dunque, Umberto Eco, semiologo, scrittore, docente universitario che della ricerca sul potere della parola ha fatto il centro della propria speculazione, con un colpo di teatro finale sancisce, con una sorta di considerazione finale, il potere della parola e della letteratura, strumento di potere o di rivoluzione delle coscienze e, in forma di corollario, esalta il potere del riso come sberleffo irriverente a chi domina e quindi come forma di resistenza alla sudditanza alle verità preconfezionate.



L'ironia, saggiamente esaltata da Aristotele. I filosofi greci, si sa, avevano compreso tutto dei misteri della vita e dell'uomo. I filosofi venuti dopo si sono potuti misurare con la realtà da afferrare e comprendere solo come "nani sulle spalle dei giganti" (citando il filosofo francese medievale Bernando di Chartres che si riferiva alla civiltà classica in senso ampio) capaci di guardare al futuro solo perché seduti sulle montafne di cultura e riflessioni degli autori che hanno disegnato e dato sostanza alla culla della civiltà occidentale.

Viene in mente un famoso monologo di Luciano De Crescenzo che tanto amo' la filosofia greca, presente nel film "Così parlò Bellavista" tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore, regista, attore partenopeo che recita grossomodo così: 

" Tenetevi lontani dalle persone con una fede incrollabile, quelli che mettono un punto esclamativo alla fine di ogni frase, quelli che si professano depositari di un'unica verità. Questi sono da evitare. La fede è violenza, la fede in qualunque cosa. Quando invece incontrate una persona con i dubbi, che mette sempre punti interrogativi, allora frequentatela. Quella è una brava persona, una persona perbene, che rispetta tutti e non ha certezze incrollabili."

Ipse dixit...

Se amate il Medioevo e volete una full immersion super interessante non perdetevi "I PILASTRI DELLA TERRA" di Ken Follet, un romanzo che costruisce un microcosmo di eventi personaggi e storie che catturera' le vostre energie e attenzioni fino all'ultima pagina.



sabato 29 giugno 2024

Inside out 2



 


Impressioni a caldo. Un film che mescola significati profondi e momenti comici da cartoon, una grafica perfetta, e in questo la Pixar è maestra, una colonna sonora che con garbo accompagna il gioco delle immagini, pregevole il momento in cui si mostra l'antro magico dove si struttura la personalità di Riley attraverso filamenti brillanti corrispondenti alle idee base del suo . Emozioni complesse in gioco, emozioni represse, proiezioni angoscianti notturne, racconto di un attacco di panico in corso da un POV interno ed esterno, valori traditi e ritrovati, paure di non essere integrati, accettati, inseriti in un contesto, di non avere un'immagine da vincenti. La vita come palestra per non tradire se stessi, la perdita  del ruolo unico e totalizzante della gioia dell'infanzia come emozione sovrana ma suo reinserimento nel gioco delle emozioni in un ruolo nuovo che mescola entusiasmo e consapevolezza dove ogni emozione e ogni atteggiamento, persino il sarcasmo, il disprezzo o la preoccupazione hanno un proprio perché. 


Commuove come liberatorio il finale in cui si assiste alla costruzione del se' di una persona come una rosa di cristallo in continuo mutamento e che accoglie in sé ogni colore e ogni emozione,  dalla gioia al disgusto, dalla noia alla tristezza, con momenti di altruismo e di egoismo, di celebrazione di sé e di autosabotaggio. Perché questo è il messaggio più importante di InsideOut2, imparare ad accogliere ogni propria emozione, e accettarla senza adattare a se stessi un vestito di un falso sé, che sia di una perfezione di carriera o una perfezione di attitudine dell'animo. Siamo umani, abbiamo in noi mille emozioni.




 Un appunto, ironico, alla Disney. È vero che vedere Inside out 2 è più liberatorio di una seduta dallo psicologo ma, dobbiamo dirlo, ha il limite di fermarsi agli eventi della vita di una ragazza di 13 anni. Portatecelo all'eta' adulta. Ci mancano in mezzo qualche decina di anni e di gioie esaltanti e di devastanti traumi, con le emozioni che si mescolano, aggrovigliano, annodano grazie ad ANSIA, una signora emozione che decide delle nostre vite giorno dopo giorno e che purtroppo cresce insieme a noi. Chiediamo agli autori un update con Inside 3 e 4. Anyway, un film bellissimo. Da vedere e per tutte le età.  InsideOut2

domenica 12 maggio 2024

HANNIGAN, ZORN, CHAMAYOU

San Carlo days, musica contemporanea. Un recital pianoforte e voce tutto sul Novecento. Le parole d'ordine sono quindi atonalita', frammentazione del tempi musicale in istanti, teatralità espressionista. Nei canti di cielo e di terra la cantante alterna canto spiegato a parlato spezzato o versi di uccellino (non dimentichiamo che Messiaen amava gli uccelli al punto da studiarli scientificamente da ornitologo). I due brani di Skrjabin sono pura estasi nel fuoco. L'ascoltatore è rapito dal gioco delle fiamme musicali che da deboli diventano irruenti e viceversa in un gioco di chiaroscuri timbrici e agogici. Bravissimi e quasi eroici gli interpreti, la cantante Barbara Hannigan dalle risorse vocali incredibili, dal morbido legato al sibilo o all'urlo e il pianista Bertrand Chamayou che ha restituito a Messiaen tutta l'eleganza tipicamente francese (basti pensare al conterraneo Poulenc) con un tocco pianistico 3d e a Skrjabin tutta la carica espressiva allusiva. Un po' più discontinui gli esiti di Jumalattaret di Zorn, compositore americano contemporaneo che ha scritto questo ciclo di canzoni proprio per la Hannigan ispirandosi ad un poema epico finlandese. Ed è davvero epica l'impresa della cantante che qui sibila, urla, parla, canta e miagola passeggiando con la voce per due tre ottave e quasi arrampicandosi fisicamente sulla cassa armonica. Alziamo le mani, è musica contemporanea. Mah! Interessante la parte pianistica che alterna sezioni minimal jazz a parti espressionistiche percussive sempre incastrandosi su parlato, canti, urla e miagolii della cantante. Il pianoforte viene anche pizzicato direttamente sulle corde o preparato con oggetti nella cassa, oltre a dover resistere ai finti assalti della cantante. Povero pianoforte. Applausi per tutti, ma niente bis. Peccato.

sabato 27 aprile 2024

Back to black, il film che Amy non meritava



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Sembra di essere sul set patinato e scintillante di un videoclip delle Ronettes, le star della girl band anni Sessanta di "Be my babe" più che nel biopic di una delle più tormentate interpreti black degli ultimi 30 anni, la rimpianta Amy Whinehouse. Troppo belli gli attori protagonisti, sempre in forma e buona salute pure nelle fasi down delle loro dipendenze, nonostante qualche ciuffo scomposto o qualche piccolo dettaglio qua e là. Sempre melensa e dolciastra l'interpretazione degli attori comprimari, il padre, il manager, la nonna, nessuna emozione trasmessa nella recitazione che come qualita' è un filino sopra il livello di una soap opera. Molto somiglianti gli attori che interpretano Amy e Blake ma il loro impegno sembra fermarsi a ripeterne qualche tic o alcune movenze. Manca l'anima all'interpretazione, manca la cruda realtà, quella a cui, forse, non avremmo retto noi spettatori comuni; anzi, la narrazione cinematografica, in maniera diseducativa, trasforma un trip da droghe pesanti in un colorito e immaginifico bagno in piscina. Del tutto ridimensionate sono le responsabilità del padre, degli amici, del compagno che non sembra averla trascinata nella spirale delle droghe, ma aver semplicemente accettato una realtà di fatto e condivisa. Appare quasi saggio il padre che sa delle dipendenze della figlia ma non l'aiuta, anzi la incoraggia a continuare con i tour, chissà perché, ma poi la accompagna in un centro di disintossicazione quando lei lo chiede, ad un passo dall'autodistruzione. Il ritratto di una ragazzina capricciosa, disadattata e violenta che si è cacciata da sola nei guai, non rende giustizia ad un'artista di talento e disperatamente sensibile che ha lanciato al mondo più di un grido di aiuto, che forse voleva solo un po' di amore e che, invece, incontrava solo muri di indifferenza e desideri di sfruttamento. 
Ottimo l'aspetto decorativo, il montaggio delle sue musiche con la sua inimitabile voce sulle sequenze del film, l'approfondimento sulle sue origini musicali, la musica che la circondava, i luoghi e i costumi. 
L'anima della musica, nonostante la sua voce, viene, invece, tradita da un racconto che non aggiunge ma sottrae alla storia complessa e difficile di una cantante fragile del gruppo 27, età terribile per morire, ma destino comune a tanti artisti che hanno fatto la storia della musica.

domenica 21 aprile 2024

Il San Carlo canta Napoli con Maria Agresta

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"Il potere che si nutre di oppressione e paura non produce progresso, il potere che educa le coscienze al valore della bellezza forma la civiltà"
Maria Agresta commenta così la storia della canzone "O surdato 'nnamurato" che fu oggetto di censura da parte del re durante la prima guerra mondiale perché accusata di muovere i soldati a essere disertori per una grande colpa, quella di cantare la nostalgia dell'amore lontano. È un viaggio dentro e intorno alle canzoni d'oro della musica napoletana di tradizione quello disegnato e interpretato dal soprano Maria Agresta, voce di velluto e inclinazione al ricamo con una carrellata di canzoni che prendono velocemente il volo e conquistano i cuori e la sensibilità della platea. Quella sensibilità perduta e quel culto delle sfumature perdute nei tempi moderni della velocità, del consumo veloce della vita e dell'incitamento all'odio. Un ristoro per l'anima, questo concerto in cui le melodie napoletane celebri intessute con intensità drammatica e finezza vocale dalla Agresta sono accompagnate da arrangiamenti orchestrali scritti dal direttore d'orchestra Maurizio Agostini che hanno dato uno scintillante tocco hollywoodiano alla performance. Orchestra in gran forma con pianista di sala e mandolinisti.
"Chist’è ‘o paese d’ ‘o sole,
chist’è ‘o paese d’ ‘o mare,
chist’è ‘o paese addó tutt’ ‘e pparole,
so’ doce o so’ amare,
so’ sempe parole d’ammore."
Su "O sole mio" tutto il pubblico canta in estasi e come bis una ricamatissima ""a vucchella" e uno spigliato "Funiculi' funicula'" riassumono l'umore di uno spettacolo tra toni festosi, gioia e momenti di intensità lirica.
Margherita Gargano
 




mercoledì 10 aprile 2024

Farfalle libere

Einaudi piano

Farfalle libere”

Alda Merini


Mangerete polvere,

cercherete d’impazzire

e non ci riuscirete,

avrete sempre il filo

della ragione che vi

taglierà in due.

Ma da queste profonde

ferite usciranno

farfalle libere.









domenica 7 aprile 2024

La Gioconda di Ponchielli al San Carlo

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La Gioconda (1876) di Amilcare Ponchielli, recita straordinaria al San Carlo per il 30esimo anniversario del debutto di Anna Netrebko.
Fuoco e fiamme in scena e nella performance di Steinberg con l'Orchestra del San Carlo per La Gioconda di Ponchielli, un drammone a forti tinte tutto giocato sul tema del contrasto tra realtà cruda e ideale sognato e dello stretto convivere di vita e morte nello stesso spazio-tempo così tipico della Scapigliatura, movimento letterario decadente cui Arrigo Boito, librettista dell'opera, appartiene.Grande opera con maestose performance del coro e divertissement di ballo, come la celebre e deliziosa Danza delle ore che si staglia come momento leggero e leggiadro su un dramma a tinte fosche, ambientato in una Venezia del Seicento in cui l'omicidio d'onore, politico, o dovuto a superstizioni era prassi, in scenari costituiti da cortili squadrati a ridosso dei canali di acque nere che sembrano essere la porta di ingresso al regno dei morti. La folla che esulta cantando "Feste! pane!" e che danza la forlana o la cerchia degli invitati della festa prestigiosa nel palazzo di Alvise, membro dell'Inquisizione, che assiste alla bellissima Danza delle ore, calpestano tutti lo stesso pavimento, in cui all'improvviso si aprono botole che sono tombe di cadaveri. La vita danza sulla morte in una sorta di Carnevale (e per il tempo di Carnevale era prevista la prima rappresentazione dell'opera) con una musica venata da melodie- ricamo che sottilmente raccontano le vicende dei personaggi in scena attraverso il filtro dell'emozione e passano tra arie solistiche, intrecci di voci dei concertati e fraseggi orchestrali per masse sonore. E dunque, le voci. La Netrebko, che festeggia in scena i 30 anni di carriera: una performance limpidissima, calda, con una vocalità avvolgente e serpentina quanto le melodie di Ponchielli, come se la sua voce fosse nata per quest'opera (e dunque mai scelta fu più felice per festeggiare il 30esimo). Nell'aria del quarto atto "Suicidio" tutti siamo stati Gioconda e tutti abbiamo pianto con lei il suo fatale e tragico destino di dolore, solitudine, di abbandono e deserto affettivo. Una personalità vocale che fonde grazia melodica e potenza drammatica toccando tutti i colori della sua tavolozza. Le uscite a fine spettacolo sono state salutate da boati e ovazioni del pubblico, prima che da applausi. 
Ottime, ben cesellate e calate nel tessuto drammatico le performance degli interpreti di Laura Adorno, la mamma Cieca, Badoero, tutte molto apprezzate dal pubblico. Infine Kauffmann, ormai interprete amato del San Carlo, qui in una dimensione vocale felice e a lui consona, diversa dalla discutibile versione pop lirica stile Il volo che ha voluto offrire in un recente spettacolo di canzoni per il cinema. Conquista e vince nella romanza del secondo atto "Cielo! E mar!" e offre una performance di livello in tutta l'opera giocando su colori drammatici oppure in un'area di colore sul filo del rasoio tra piano e pianissimo. Lirica e dramma. Graziosi e bravissimi "i piccoli scoiattoli del mare" i bimbi del coro delle voci bianche del San Carlo impegnati a rappresentare i mozzi dei velieri veneziani in un numero di stretti intrecci ritmici e melodici con le parti del coro dei marinai mentre l'orchestra esplora le sonorità delle famiglie di strumenti procedendo a terrazze. Successo,applausi, si esce quasi storditi da questo continuo melodiare degli interpreti e, a monte, del compositore e dall'imponenza del grand opera che invade e conquista ogni spazio dell'immaginazione.
Margherita Gargano


giovedì 4 aprile 2024

Le plus que lente




Photo by Margherita Gargano

"Pensavo si dovesse solo correre
correre e basta, 
è questo che ho imparato a scuola
correre per entrare in classe in orario
correre per consegnare il compito in tempo

pensavo che si dovesse fare questo
solo questo,
così mi hanno educato a casa,
correre, se vuoi diventare il primo 
e correre per non farsi prendere mai

pensavo fossimo fatti di corsa
di solo corsa,
è questo che mi hanno insegnato a lavoro
correre per raggiungere traguardi più alti
correre per non lasciare tempo agli altri 

ma io, accanto a me,
ho trovato anche una vita lenta
una vita che a volte si stanca
a stare al passo con chi corre

una vita che ha anche bisogno 
di piccole pause
di cene a lume di candela 
di panchine vista tramonto
di libri che parlano di cuori

ho trovato davanti a me
una vita che vuole anche il tempo
di fermarsi un po'
per vedere quanto cuore ancora
le batte dentro."

Gio Evan ✍️

lunedì 12 febbraio 2024

Ricordi da giornalista

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Novecento, il pianista sull'oceano


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In scena al teatro Cortese il monologo di Alessandro Baricco, un capolavoro di voci e colori che compie 30 anni. La storia di Novecento, un uomo che vive su una nave perché ha paura dell'immensità del mondo e racconta le sue emozioni facendo scorrere le dita tra gli 88 tasti del pianoforte è la storia di tutti noi. La parola di Baricco, diventa caleidoscopio di storie, voci e dettagli che vivono e incantano il pubblico nell'interpretazione magistrale di Mario Mauro, moderno cantastorie che, nei panni del trombettista amico di Novecento e testimone della sua storia, ci racconta una favola come una leggenda antica perché "se si ha una storia da raccontare e qualcuno a cui raccontarla si è sempre salvi". Mauro, nella sua meravigliosa e intensa interpretazione del monologo che non conosce mai cadute di tensione e attenzione né in lui né nel pubblico, è accompagnato al pianoforte dal pianista Carlo Berton, autore delle musiche originali dello spettacolo in cui si mescolano ragtime, jazz ballad e suggestioni da Chopin, di cui rivisita un valzer, e Piazzolla. Il pubblico partecipa,si emoziona, vive lo spettacolo respirando con la musica e immaginando luoghi, volti e storie dipinte dalle parole dell'interprete.
Un bambino in fasce abbandonato sulla coda di un pianoforte della prima classe di una nave che nell'anno 1900 portava, in terza, poveri emigranti in  viaggio verso la sognata America. È Novecento, un bambino nato e vissuto sulla nave, un pianista geniale che impara da solo e per dono divino a suonare una musica mai udita perché "Quando non sai che cos'è, allora è jazz", che cresce come una leggenda con un nome improbabile, "il pianista sull'oceano" attirando curiosi e musicisti da tutto il mondo. Lui che conosce il mondo attraverso gli occhi dei viaggiatori che compiono la traversata in mare, ne assapora il gusto, ne sente odori e suoni, ne vede forme, vivendo come proprie le emozioni che si provano passeggiando sulle rive della Senna abbracciati dai colori del tramonto e da un lieve venticello della sera, senza mai essere sceso dalla nave e aver visto terra ferma. Un uomo che sente gli altri, e legge loro l'anima, vivendo la loro vita traducendo in cascate di accordi e note mai udite, come un Mozart reincarnazione, citando un pezzo della colonna sonora scritta da Ennio Morricone per lo straordinario film che Giuseppe Tornatore ha tratto dal monologo. Novecento è malinconicamente felice fino a che un desiderio nuovo non si affaccia nella sua mente: la voglia di vedere l'oceano con gli occhi non dei marinai ma degli uomini che vivono sulla terra ferma,  quindi non come terra natia ma come mistero. Il desiderio diventa fonte di infelicità. Novecento decide di compiere il rito della rottura. L'addio, la vestizione col cappotto dell'amico, con, nelle parole e negli occhi le immagini di una nuova vita sulla terraferma, simile alla vita di tanti uomini. E poi, il crollo. Il terzo gradino della rampa di discesa, l'ultimo gradino. La scoperta,lo shock. Non è quello che vede a spaventarlo, ma quello che non vede. La fine. Non c'è una fine alla città. Sulla nave, il mondo è circoscritto, Novecento è qualcuno. Nella grande città, Novecento diventa un numero nella folla anonima, in una vita determinata da scelte casuali, da non scelte, dove si prende quello che c'è e non quello che si conosce, riconosciuto. È il tema dell'identità dell'uomo sperduto nella metropoli dei tempi moderni, della disumanizzazione della realtà in cui l'uomo non è più misura della sua dimensione vitale,ma ne è, al contrario, ingoiato, come una formica affannata nel procurarsi cibo e in fuga da pericoli in mezzo a milioni di formiche. È il tema toccato da Italo Calvino nelle sue storie di Marcovaldo, il manovale ingenuo e puro che si muove in una Torino industriale fiabesca quanto estranea e ostile rispetto alla sua dimensione e alla sua immaginazione. È il tema della solitudine dell'uomo immerso nella folla dei tempi moderni, nella perdita delle antiche comunità della civiltà contadina e che trova oggi un contraltare meraviglioso nel mondo della musica,con le sue suggestioni e le sue fughe nell'interiorita'. La nave, la musica, la città dell'anima,in un mondo indifferente e estraneo. Dopo 30 anni, diciamo ancora grazie ad Alessandro Baricco.
Margherita Gargano 
 


"Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti ai margini della Senna, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo può vivere. Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita... Se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n'è a
 migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una,
 a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n'è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla?”

Incontro con il pianista Hamelin

    Ci sono concerti unici nel loro happening e che lasciano il segno nelle pagine dei ricordi della vita musicale cittadina e universale. I...