venerdì 25 luglio 2025

Incontro con il pianista Hamelin

 







 
Ci sono concerti unici nel loro happening e che lasciano il segno nelle pagine dei ricordi della vita musicale cittadina e universale. Il concerto di ieri è tra questi. Nella prima parte, un'esecuzione senza pari da parte dell'orchestra del San Carlo, diretta da Ettinger, del Poema sinfonico "Notte trasfigurata" di Schoenberg , in cui si è sentita palpitare la vita nel ritmo nella musica e accadere percorsi armonico-melodici capaci di avvolgere e carpire l'anima di chi ascoltava. Nella seconda parte è arrivato Hamelin, star del pianoforte, che ha eseguito il secondo concerto di Brahms con i suoi disegni eleganti e le sue ombre romantiche, con una leggerezza volatile e classica che ha esplorato tutte le dimensioni del suono e soprattutto nel confine tra pp e silenzio, portando alla luce le sottili sfumature e tutta la bellezza dell'uomo e della vita cui la musica può dare luce. 4 generosi bis per il pubblico entusiasta. L'autografo era una ricerca d'obbligo :) un gentile, disponibile, elegante maestro di altra epoca firmava autografi e sorrideva ad appassionati e studenti in fila per salutarlo dal vivo. Nessun segno di fastidio, dopo un faticoso concerto, nessuna alterigia. La musica che si suona riflette ciò che si ha nell'anima.
"Maestro, thank you very much for all, I'm so grateful to you"
"Margherita, so I'm I, because you have been here to listen my music"
Wow

domenica 29 giugno 2025

Wagner e Schumann di Armiliato





È una finestra sul Romanticismo tedesco dalla veduta ricca di pathos, variegata e fuggevole quanto sa essere la musica che mentre costruisce cattedrali di suoni già si spegne e chiude il suo sipario, il concerto dell'orchestra del San Carlo che ha visto sul podio Marco Armiliato e Maria Agresta come guest star. È stato un tempo musicale così intenso da volare via fin dal suo esordio, con un Brahms in versione quasi di corte, con una Serenata un po' alla maniera di Mozart sotto cui correva di tanto in tanto il filo della temperatura timbrica romantica, evidente soprattutto nell'Adagio. Un po' di maniera era anche l'esecuzione di cui il direttore ha cesellato ogni dettaglio ma nella quale, in alcuni momenti, mancava forse un po' di brio o, al contrario, di pathos. Di segno decisamente opposto la seconda parte del concerto, con apertura e chiusura, Preludio e aria finale, di una delle opere che ha aperto la musica romantica ai progressi espressivi e armonici del Novecento, il Tristano e Isotta. Sublime Maria Agresta nelle vesti di Isotta che canta l'amore sul corpo del suo amato Tristano, momento culminante della serata strategicamente posto al centro del concerto, ma è soprattutto il Preludio, in cui l'orchestra canta con un fraseggio morbido, avvolgente, intenso, pieno di pathos e sublime dolore nell'anticipare il tema dell'amore puro e assoluto che trova compimento nella morte, che l'orchestra del San Carlo, con vette dell'arte degne di un palcoscenico antico e di prestigio quale è il San Carlo, sotto la direzione sicura e intensa di Armiliato, disegna percorsi sonori, espressivi che toccano in profondità le corde dell'anima. Il Preludio, oltretutto, è anche uno dei 3 brani sinfonici più cari per la sottoscritta, e sentirlo eseguire a tali altezze mi ha catturato l'anima. Avvincente, intensa, profonda è l'avventura espressiva disegnata da Armiliato e dall'orchestra con la seconda sinfonia di Schumann. Tra Florestano e Eusebio non possiamo scegliere, ma solo partecipare ai moti altalenanti e contrastanti tra le stanze di un'anima

 


domenica 27 aprile 2025

Viviani, l'uomo e il suo teatro




TEATRO CORTESE, COLLI AMINEI
 Viviani, l'uomo, il suo teatro. Massimo Masiello scrive, interpreta a grandi livelli sia canori che teatrali, divora e restituisce emozioni autentiche e veraci del teatro di Raffaele Viviani, l'ultimo scugnizzo, ripercorrendo fasi ed eventi della vita e dell'arte dello scrittore, del capocomico, attore, cantante, poeta, uomo che ha segnato un punto cruciale negli sviluppi del teatro napoletano ed europeo. I canti di scena, poesie e momenti di teatro che restituiscono la verità del dettato dell'autore raccontano il dolore profondo o la sottile sofferenza che sono il retrogusto amaro dei suoi personaggi del vicolo, della piazza o del porto di Napoli cui restituisce dignità attraverso il canto popolare spiegato, la poesia di strada, la filosofia dell'uomo vissuto ai margini della miseria o della legalità, della disperazione o della leggerezza spensierata ma che trova sempre un solo diktat rispetto agli eventi di ieri e di oggi: lottare per sopravvivere e andare avanti. Non c'è spazio per il vuoto, la rassegnazione, l'indifferenza. Finché c'è vita, questi scugnizzi invecchiati dai pesi della vita si sbracciano e ricominciano daccapo, rialzano la testa per andare avanti. È così il padre che trasforma la gioia in una maschera di pianto dopo aver appreso della morte del primo figlio appena nato, tra lacrime e silenzi inizia a cantare la rumba degli scugnizzi, il cui ritmo piano piano prende piede e lo risolleva verso la vita, perché la vita deve andare avanti, sempre e comunque, oltre la morte, come legge di natura detta. L'Amore cantato è leggero, all'intrasatto, senza connotati e carta d'identità, o è dolore per l'abbandono, o è felicità di un connubio desiderato e finalmente realizzato, o è amaro cinismo per un tradimento. L'Amore è però soprattutto amore per il teatro e per la parola, capace di catturare dettagli minimi e pittorici della realtà, usarli per costruire metafore che portino in scena lo stato d'animo del personaggio creando la magia della comunicazione del teatro. L'Amore è Napoli, un amore grande e indescrivibile che ha accompagnato Viviani fino alla morte. Omaggio finale ad Aznavour con Lei, canto di amore e di libertà, a ricordarci che l'unico modo di essere liberi è, appunto, amare.



lunedì 14 aprile 2025

Pensiero liquido


Le onde del mare raccontano poco degli abissi. Ma tutti vivono di queste belle e mutevoli increspature d'acqua osservandone i giochi di luce, l'inseguirsi di una dietro l'altra, il loro giocare con i gabbiani, magari scattando una foto e andando via, sazi di aver riempito gli occhi di qualcosa di cui non si è compreso nulla. L'infinito del mare, l'infinito dentro di me, il mistero della natura, la manifestazione di un principio divino nel mondo. "Tu giudichi il mare da una stupida onda" recita una canzone. Perchè oggi è tutta una fuga senza sapore, un attimo che si volatilizza senza lasciare scia, un'età da pensiero liquido, sentimento liquido, spessore in frantumi.La profondità è per pochi, rari, perduti, magari seppelliti dietro una catasta di libri per nascondersi da un mondo incomprensibile in cui comunque non si può rinunciare a danzare, muoversi per non essere sconfitti, per tentare un cambiamento dall'interno, per non rinunciare allo scambio e ad una parte di se stessi.Sono con voi ma non sono con voi. Sono altro. Sono inattingibile. Sono e sarò sempre come quegli scrittori con doppia nazionalità, con un'identità al margine, emigranti rispetto sempre a qualcosa, senza patria anche a casa propria.

La foto finale mia, ritrae uno dei famosi tramonti di Baia Domizia, meta che fa storcere il naso ai radical chic, ma per me seconda casa e luogo amatissimo. 

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Non mettermi accanto a chi si lamenta senza mai alzare lo sguardo, a chi non sa dire grazie, a chi non sa accorgersi più di un tramonto. Chiudo gli occhi, mi scosto un passo. Sono altro. Sono altrove. Alda Merini

venerdì 28 febbraio 2025

ROMEO E GIULIETTA

 Condivido con voi il ricordo di un allestimento che mi ha lasciato molto dentro e che si distingue per la sua eleganza ed espressività, il Romeo e Giulietta di Gounod, l'ultima opera andata in scena al San Carlo. Il soprano Elsa Dreisig che ha sostituito la Sierra per l'ultimo allestimento ha superato ogni aspettativa, tanto che il direttore d'orchestra stesso ha fermato la musica per farle un lungo applauso. Una voce delicata ma "appuntita" nel definire ogni nota del ricamo così tipico della vocalità del teatro francese ha dominato la scena senza mai superare i confini drammatici del ruolo. Cast di alto livello in ogni suo componente, tutti armonicamente uniti nel portare in scena la storia e voci espressivamente cariche di significanti scenici per i protagonisti. Cori imponenti e drammatici cantavano la fine di Verona e la tragedia della faida tra le due famiglie ma tutto il resto dell'opera, con un'orchestra puntuale negli interventi teatrali perché ben diretta, era un canto continuo e delicatamente espressivo come delicato e fragile è l'amore adolescenziale che conduce Romeo e Giulietta alla morte. Gounod, compositore francese e autore della celebre Ave Maria ispirata al preludio di Bach, non poteva trovare storia per esprimere meglio del suo sentire e stile musicale. La scenografia nuda ma efficace trasforma una torre in un arredo da sala da ballo e poi in una sala segreta dove Romeo e Giulietta vivono il proprio amore in una dimensione senza tempo e spazio, proprio come la scenografia. Ricchi e storicamente definiti, invece i costumi. Lunghi applausi e un teatro pieno, anche di turisti, hanno salutato l'ultima replica dello spettacolo.





sabato 15 febbraio 2025

Igor Levit al San Carlo

 Tu metti un pianoforte, 88 tasti, uno dei palcoscenici più antichi e suggestivi al mondo, un giovane e poliedrico artista, Igor Levit, divenuto universalmente noto per le sue dirette pianistiche, stile house concert, durante il Covid, il silenzio (esclusione fatta per qualche colpo di tosse) unanime del San Carlo, pieno di estimatori, appassionati, musicisti, maestri e studenti, un silenzio ormai perduto in ogni angolo di questa città e forse simile alla temperatura emotiva di qualche tranquilla sera di campagna animata nel buio solo dalla danza delle lucciole, qui le immobili lanterne del teatro...e il gioco è fatto. È stato un San Valentino tutto dedicato all'arte del piano, quella pura che irretisce l'animo e lo cattura in un'avventura sonora che, come un romanzo senza parole, riesce a dare commento sonoro ed emotivo alle pagine della nostra vita...










Inappuntabile e puntuale, Levit interpreta la partitura con devota precisione, ma al rigore dell'interprete unisce l'entusiasmo fanciullesco del gioco ben riuscito. La partecipazione all'esecuzione è totale, e se in Brahms tocca momenti di profondità intimità vissuta in introversa comunicazione ad un pubblico sospeso nel cogliere ogni minima sfumatura del suono e dell'anima, nella mirabile performance dell'Eroica, Levit piange e ride insieme ai discorsi di Beethoven e dirige se stesso appena una delle due mani è libera dalla tastiera. Un'esecuzione che rimarrà negli annali del San Carlo, quella della versione "ridotta" per pianoforte della sinfonia Eroica di Beethoven, che ha mostrato come i complessi intrecci sinfonici che sono l'anima della scrittura beethoveniana (impossibile leggere persino le sonate senza tenere presente un riferimento musicale sulle grandi famiglie dell'orchestra) possono divenire una cattedrale di suoni che non sono solo pianistici ma sinfonici. Il pianoforte diventa un super strumento, superando se stesso oltre i limiti della fisica. A fare la differenza, il tocco dell'uomo e del pianista che dà spessore umano e musicale alle frasi e ai contrappunto beethoveniani in un mondo sonoro 3d dove i piani sonori si intersecano, alternano dialogano, grazie alle magie di 10 dita e un tocco che sa profondare i tasti o semplicemente sfiorarli. La ricerca su timbro e fraseggio punta alla perfezione e quasi la raggiunge. Standing ovation finale di platea e palchi per questa esecuzione di un interprete che, senza alcun divismo, si inchina mille volte a rendere grazie al pubblico, come un umile lavoratore che ha prestato il suo lavoro, al servizio della dea musica. Delizioso il bis, che suona come un garbato e intimo commiato: l'amatissimo secondo tempo della Sonata Patetica, ulteriore omaggio a Beethoven e a noi del pubblico, innamorati di una musica che ci fa viaggiare oltre i confini della fisica, del tempo, e dall'ordinario.
Margherita Gargano


sabato 7 dicembre 2024

Rusalka: fumetto cringe o opera fiabesca?

 



Cronache informali dal San Carlo. Giovedì 5 ho seguito la messa in scena dell'opera di apertura stagione: Rusalka di Dvorǰak, opera post wagneriana cantata in ceco ma con sottotitoli in inglese e italiano.
Un'opera raffinata, in cui si sente molto dello spirito liederistico di Brahms, un'opera fin troppo difficile per i non addetti, con il suo melodismo vocale e orchestrale continuo, figlio di una drammaturgia così diversa da quella dell'opera italiana, con proprie logiche interne. Tutto valorizzato splendidamente da orchestra e cantanti dalla vocalità morbida ma intensa che, con la loro bravura, non hanno però salvato un allestimento infelice. 

L'opera tedesca, figlia del singspiel e a sua volta del Lied e della poesia tedesca introspettiva e profonda fino alle lacrime, è già così lontana, per tradizioni culturali, dal modo italiano di percepire il teatro come parola azione da avere bisogno di qualcosa che aiuti e faciliti la percezione degli eventi scenici, non una messa in scena che ne avvilisca e banalizzi i contenuti.

E veniamo al dunque: la favola della ninfa delle acque che si innamora del principe umano e baratta la sua voce per avere una vita da umana, a metà strada tra la Sirenetta di Andersen e la favola ceca Undine, con un finale noir, la morte per accoltellamento del principe e la maledizione eterna della ninfa finisce su uno schermo sipario con un fumetto ultrapiatto. 

Il fiume diventa una piscina, le ninfe delle nuotatrici, il padre delle ninfe un allenatore in tuta da jogging e scarpette. La ninfa protagonista sembra una scappata di casa, sempre in tuta o accappatoio. La strega ha un fare da maitresse e fuma in scena tra una frase cantata e l'altra. 

Questa è la migliore visuale che si possa avere dei cantanti, quando sono inquadrati tutti dentro la buca rettangolare aperta nel sipario che ce li mostra come figure su uno schermo del cellulare mentre su tutto il sipario viene proiettato un fumetto di una bruttezza scandalosa. 

La migliore visuale dicevo. Perché in gran parte dello spettacolo, in questa buca del sipario noi dei piani alti abbiamo potuto vedere solo i piedi dei cantanti che evidentemente, nelle intenzioni del regista, devono avere un grande potenziale drammaturgico...

Il fumetto è letteralmente devastante. Colori bluastri che definiscono citofoni, piscine e trampolini, passeggiate in città di questa povera anima che anche nel fumetto ha perso la bellezza della ninfa e va in giro in cerca del suo crudele principe come una scappata di casa, sciatta fino all'inverosimile e depressa. 

Lui va in giro con gli amici in auto in cerca di avventure e la trova, o meglio, la investe. Questa la traduzione visiva del verso in cui lui accenna alle nebbie e lati bui della sua anima, evidente traduzione poetica della consapevole incapacità di amare. Definire questa traduzione scenografica banale è poco, il poeta autore dei versi potrebbe rivoltarsi nella tomba.

Alla fine non si più prende sul serio questo allestimento. Quando arriva l'urlo finale ci si chiede: ma è finita male? È un dramma? Perché le eterne passeggiate per la città bluastra della scappata di casa fumetto e i piedi scalpitanti della cantante vista nel buco del sipario sembrano suggerire un eterno ritorno di un dramma che gira su stesso ma non si risolve mai. Unici momenti di drammaturgia riuscita sono quelli in cui i cantanti e l'orchestra conquistano autonomia rispetto alle immagini orripilanti e parlano al cuore del pubblico.

Altre note al margine: le signore attempate distinte della platea che si chiedono: "ma tu resti fino alla fine?" " Ma sai io sono in comitiva...devo..." (e io penso con invidia: beate loro a 80 anni hanno la comitiva io ce l' avevo la a 16 anni)
Il mio vicino di loggione che mi ossessionava: non potevo guardare il telefono (conosco l'opera, ascoltavo la musica ma mi annoiavo con tutte quelle piscine cartoon) che dava i pugni sul parapetto e mi costringeva a nascondermi dietro la colonna per rispondere a un messaggio, quando poi dal palco arrivavano luci a neon che sembravano quelle delle sale operatorie degli alieni che fanno esperimenti sugli umani rapiti dalla terra. L'altro vicino tra un atto e l'altro si stiracchiava e dormiva con le mani dietro la nuca come per riprendersi dall'atto appena visto.Una coppia di giganti che sembravano usciti dal signore degli anelli mi spinge gentilmente in ascensore e quasi mi schiaccia senza neanche accorgersi che sono un essere vivente. Un giovane turista americano elegantemente vestito come un dandy e rosso di capelli mi ferma: "Ehi madame, ehi madame!" E mi mostra la cover del cellulare. C'è un oceano a separarci ma ha la mia stessa cover. Un gattino che si specchia e si vede come una tigre. Solo che la sua è usurata, la mia è nuova perché l'ho ricomprata. "It's the same! The same!" E scappo via. Ho incontrato l'anima gemella ma ci siamo persi di vista. Alla prossima Rusalka. Goodbye






mercoledì 25 settembre 2024

ALDA MERINI

 


Quelle come me


Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.

Quelle come me donano l’anima,

perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.

Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,

pur correndo il rischio di cadere a loro volta.

Quelle come me guardano avanti,

anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.

Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,

tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.

Quelle come me quando amano, amano per sempre.

e quando smettono d’amare è solo perché

piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.

Quelle come me inseguono un sogno

quello di essere amate per ciò che sono

e non per ciò che si vorrebbe fossero.

Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,

sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.

Quelle come me vorrebbero cambiare,

ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.

Quelle come me urlano in silenzio,

perché la loro voce non si confonda con le lacrime.

Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,

perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.

Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,

non riceveranno altro che briciole.

Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,

purtroppo, fondano la loro esistenza.

Quelle come me passano inosservate,

ma sono le uniche che ti ameranno davvero.

Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,

rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti

e che tu non hai voluto…


Alda Merini

Lucciole

 




Oggi c'è la libertà di fare tutto ma si è perso il valore di ogni cosa.Abbiamo dimenticato che basta una personalità a riempire una stanza, delle parole efficaci a rendere una conversazione piena di significato,un sentimento autentico a dare una tensione verso l'utopia.Abbiamo bisogno della folla, di luci, suoni, video,autotune, cose da fare, corse in auto, del frastuono quotidiano,serale,notturno. Corriamo perdendo noi stessi, dimenticando la magia. Come diceva Pasolini,sono scomparse le lucciole. 

Margherita Gargano

#pensierieparole

#pierpaolopasolini

#pasolini


mercoledì 11 settembre 2024

Dove vai



Dove vai quando poi resti sola
il ricordo come sai non consola
Quando lei se ne andò per esempio
Trasformai la mia casa in tempio
E da allora solo oggi non farnetico più
a guarirmi chi fu
ho paura a dirti che sei tu
Ora noi siamo già più vicini
Io vorrei non vorrei ma se vuoi
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
Le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto
Dove vai quando poi resti sola
senza ali tu lo sai non si vola
Io quel dì mi trovai per esempio
quasi sperso in quel letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
io la morte abbracciai
ho paura a dirti che per te
mi svegliai
Oramai fra di noi solo un passo
Io vorrei non vorrei ma se vuoi
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto


Lucio Battisti, interprete della mia anima 

 

martedì 10 settembre 2024

Leoni

 







Vincenzo Florio ragazzo, suo zio Ignazio

V. " Come fate a resistere vedendo tutto questo?" (in riferimento alle violenze del padre sulla madre)

I: "Perché io guardo lontano" (nel dolore di aver perduto proprio quella donna che ha sposato suo fratello)

V: "Lontano? E cosa guardate lontano?Lontano non c'è niente! C'è solo il mare!"





sabato 7 settembre 2024

Considero valore

 


Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

 Erri De Luca

Opera sull’acqua e altre poesie (Einaudi, 2002)

domenica 1 settembre 2024

Cambiare l'acqua ai fiori

 


Se non avete letto ancora nulla di Valerie Perrin dovreste al più presto rimediare, con un avvertimento: i suoi romanzi danno dipendenza, quindi preparatevi a non distaccarvene più.
"Cambiare l'acqua ai fiori", vincitore di numerosi riconoscimenti dal 2018 ad oggi, è uno di questi. Non mi capitava da quando ero bambina di rileggere un libro 3 volte di fila (mi è successo a 9 anni con la "Storia infinita" di Michel Ende, dono di un'amica, e appunto libro infinito come nel titolo); non mi capitava al punto di dovermi forzare a lasciarlo per un nuovo romanzo della Perrin, "Tre", costringendomi a non rileggerlo la quarta volta.
L'argomento non è dei più accattivanti, a prima vista. 
Ricordo il tam tam sui social a proposito di questo romanzo e non riuscivo a capire come riuscisse a smuovere la fantasia e la sensibilità di tanti lettori, molti dei quali abituati a stare sul pezzo, non certo reduci dalla lettura del primo romanzo della loro vita. 
Poi l'ho letto e ho capito.
Violette, la protagonista che ha l'iniziale in comune con l'autrice, che è scrittrice, fotografa, giornalista, Violette Trenet, abbandonata in fasce e scampata alla morte con il cognome (datole) del romantico cantautore francese, è la guardiana di un cimitero. Una donna di 40 anni in rinascita che, dopo essere stata vessata dalla vita, ha scelto questo singolare lavoro per dare una svolta ai suoi giorni e fare pace con il proprio passato. 
Il tema centrale è l'elaborazione di uno dei peggiori lutti che una persona possa vivere: la perdita della propria figlia. 
Lentamente la matassa della vita di Violette si dipana attraverso i salti temporali del romanzo, di cui la Perrin è maestra, presentando la trama di un giallo con dei colpevoli imprevedibilmente legati a doppio filo alla vita della protagonista, due persone resesi responsabili del grave incidente che ha provocato la morte della sua piccola durante il soggiorno in un castello/residence francese. 
Da questo tragico evento, scopriamo la storia di Violette, quasi imparando a volerle bene. 
Questa è una caratteristica dello stile della Perrin che, attraverso una scrittura umile e dimessa che rifiuta l'artificio retorico o il richiamo letterario alle parole desuete e colte, insegue le piccole cose, i gesti, gli sguardi,i piccolo tic che caratterizzano azioni e vita dei suoi personaggi, aprendo squarci sulla loro anima. Ambienti e vestiti e tazzine di the,patatine fritte nei pub affianco ai motel, bambole di plastica dagli inquietanti occhi di vetro, bottiglie di alcolici, insalate vegane, il nastro unto della cassa di un supermercato e piantine di pomodori nell'orto ci raccontano vite, attimi, umori e giorni scivolati via nella vita di ogni giorno, ciascuno con un senso. E i personaggi ci diventano familiari, sentiamo le loro emozioni e viviamo i loro pensieri come se fossero intimi amici che manifestano il proprio esistere al nostro cospetto.
La vita di Violette è una vita costellata da abbandoni. Cresciuta in una casa famiglia (non a caso il suo libro-ossessione è "Le regole della casa del sidro" di Irving) quasi abbandonata a se stessa, incontra nel locale notturno dove lavora un uomo che la rovina, scegliendola per pura attrazione fisica; un uomo il quale, costretto a tenerla con sé come compagna per il sopraggiungere di una gravidanza, la abbandona ogni giorno per mille avventure amorose, giri in moto, la rinnega nei discorsi di disprezzo dei suoi genitori e le scarica tutte le responsabilità del lavoro, del sostentamento loro e della loro bambina, e la sua crescita. Violette lavora per sé e per lui, Violette si occupa di lui, della bambina, della casa e di ogni aspetto della loro vita, Violette si carica del peso del lutto, Violette sceglie di andare a lavorare nel cimitero dove la figlia è sepolta. A poco vale il tentativo di riabilitazione dell'autrice di questo personaggio di statura meschina: Philippe Touissant (Ognissanti che lavora al cimitero, tratto giocoso dell'autrice) ama perdutamente la moglie dello zio per lui impossibile fino a quando lo zio è in vita e per questo si butta via  in mille relazioni fisiche tra cui quella duratura con la povera Violette che gli fa da badante e mamma di sua figlia. I dolori di un amore non vissuto perché impossibile sono piccole attenuanti rispetto alle venature narcisistiche di un personaggio debole ed egoista che, di fronte al peso della responsabilità della morte della figlia, sceglie prima la rimozione della vecchia vita ricominciando da zero da un'altra parte e poi il suicidio. 
Ultimo ma centrale tema del romanzo che illumina di rosa tutto questo fosco paesaggio: il tema dell'orto, dell'amore e della guarigione. 
Cambiare l'acqua ai fiori è un rituale comune per chi si occupa delle tombe. Poi, però, Violette comincia a coltivare e vendere i fiori per arrotondare lo stipendio, quindi si appassiona all'orto che, sul retro della casa da guardiana, le offre lo spettacolo della vita che nasce su un terreno concimato dalla morte, la soddisfazione di produrre per sé i frutti dell'amore per la terra, comprendendo il valore del sentimento, dell'osservazione del vento e del ritmo delle fasi lunari, il dialogo della natura con l'uomo che caratterizza la primigenia forma della felicità: lo stato di natura. 
Iniziatore di questa trasformazione è Sasha, una sorta di erborista, taumaturgo, pranoterapeuta e psicologo che le insegna a tornare alla vita mostrandole il percorso della rinascita un passo per volta fino a lasciarla sola e responsabile nel suo cammino. Ed è così che la vede e trova Julien, visitatore del cimitero e suo nuovo amore con cui ripercorrerà la storia d'amore difficile della madre, li' sepolta, per un uomo scostante e inafferabile, attraverso diari incrociati e intrecciati con il racconto dell'amore di Julien e Violette. Il lettore ad un certo punto fa fatica a distinguere le due storie in corso, per certi tratti molto simili. Così lui la vedrà: una guardiana di cimitero con vestiti colorati, rosa carminio, o a fiori rossi sotto il mantello nero, cappotti scuri, come in un'estate dell'anima travestita da inverno in esterno. Un'immagine che fa tornare alla mente quella idea così tipica delle filosofie orientali che vedono nell'inverno la stagione non della morte ma della rinascita della natura perché e' il tempo in cui sotto la neve i nuovi semi riposano e lentamente si preparano a germogliare. L'estate dentro, l'inverno fuori. Le epigrafi ad inizio di ogni paragrafo. Le canzoni d'amore di Charles Trenet citate qui e là. Un romanzo che dipinge la vita.


“Invincibile estate”

Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore

Albert Camus

giovedì 29 agosto 2024

Hai Vent'anni

 


Foto mia❤️🌴


"Ci mandiamo

una foto del tramonto

quando non siamo vicini?

È un po' come guardarci, rubarci

gli occhi e invertirci i cammini.

L'esodo del sole che saluta i monti

le acque cullano gli stormi:

io ti penso e sono nel vento

destati! -

-non rigettare il brivido, accoglilo

lungo la schiena guidalo

subito dopo sarà calore -

l'arancio nel cielo - è l'identico.

Se guardi nel giorno

il suo addio

lì ci sono io."

da "Hai Vent'anni" di Gennaro Madera

martedì 20 agosto 2024

Marion

 

#cinema #wimwenders #monologhi #ilcielosopraberlino #wingsofdesire

Uno dei monologhi più intensi del cinema di ogni tempo. E un altro film che è mio.

Marion, una trapezista di un circo sfortunato che va in scena vestita come un angelo (abito che con sarcasmo lei stessa definisce veste con ali di pollo), racconta a se stessa i propri sogni, delusioni, paure, i voli e le cadute, di fronte a un futuro ignoto di cui cerca il senso, prima di incontrare l'amore vero, un angelo, appunto, che si farà uomo per amarla e salvarla, rinunciando all'eternità, 
un angelo che per lei abbandona i cieli di Berlino, dove, insieme ad altri angeli, ascoltava e consolava i pensieri di uomini e donne soli.
 Un film che ha fatto epoca "Il cielo sopra Berlino" (1987) dello sceneggiatore e regista tedesco Wim Wenders, premiato al Festival di Cannes per la miglior regia (1987) e che ha aperto la via a numerosi riconoscimenti per il regista.



Il cielo sopra Berlino: monologo di Marion

Ecco, è finita, neanche una stagione. Neppure stavolta ho avuto il tempo di portare qualcosa a compimento.

Il mio sogno del circo, dieci anni, un bel ricordo.

Questa sera è l’ultima col mio buon vecchio numero. E poi è anche luna piena. La trapezista si rompe l’osso del collo.

Sta’ zitta, zitta…

(…)

Spesso parlo da sola, solo per imbarazzo in momenti come questi, come adesso.

Ma che succede se il tempo stesso è una malattia?

Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora.

Vivere, basta uno sguardo.

Il circo mi mancherà.

È buffo, non sento niente. È la fine e non sento niente.

Devo disabituarmi ad avere cattiva coscienza quando non sento niente.

Come se il dolore non avesse un passato.

Tutta la gente che ho conosciuto, che resta e resterà nella mia memoria; finisce proprio mentre sta per cominciare. Era troppo bello per essere vero.

Finalmente fuori in città. Chi sono io, chi sono diventata? La maggior parte del tempo sono troppo cosciente per essere triste. Ho aspettato un’eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa. Poi sono andata all’estero. Qualcuno che dicesse: “oggi ti amo tanto”, come sarebbe bello. Devo solo alzare la testa e il mondo si apre davanti ai miei occhi… mi sale nel cuore.

Quando ero bambina volevo viere su un’isola. Una donna sola, potentemente sola. Sì. È così.

È tutto così vuoto, slegato. Il vuoto, l’angoscia. Angoscia, angoscia, angoscia. Come un animaletto che si è perso nel bosco. Chi sei tu?

Non lo so più. So solo che non farò più la trapezista. Basta col trapezio. Le decisioni improvvise, alle quali si crede.

Ma non piangere, veramente l’ultima cosa da fare è mettersi a piangere. Succede così. Dipende; non è mica sempre tutto così come si vuole.
Così vuoto, tutto così vuoto…

Che devo fare? Non pensare più a nulla. Semplicemente esserci. Berlino. Qui sono straniera e tuttavia tutto è così familiare. In ogni caso non si ci può perdere, si arriva sempre al muro. Aspetterò davanti a un automatico e poi verrà fuori una foto con un altro viso. Così potrebbe cominciare una storia. Delle facce, ho voglia di vedere facce. Forse trovo un posto come cameriera.

Ho paura di questa sera. È idiota. L’angoscia mi fa male perché solo una parte di me ha l’angoscia e l’altra non ci crede. Come devo vivere?

Forse non è per niente questo il problema. Come devo pensare? So così poco.

E forse è perché sono sempre così curiosa. Talvolta penso in modo così sbagliato perché penso…

Come se parlassi contemporaneamente a qualcun altro. All’interno degli occhi chiusi… chiudere un’altra volta gli occhi. Allora anche le pietre sono vive…

Stare in mezzo ai colori; i colori, le luci al neon nel chiaro della sera; il metrò rosso e giallo.

Devo solo essere pronta e tutti gli uomini del mondo mi guarderanno… Nostalgia, nostalgia di un’onda d’amore che salga dentro di me.

È questo che mi rende sempre così incapace: l’assenza di piacere.

Il piacere d’amare…

mercoledì 14 agosto 2024

Dimezzati e vivi

#ilviscontedimezzato #italocalvino #oscarmondadori #scrittoriitaliani #novecentoitaliano


~~~Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.~~~

Il dolore ci spezza in due, ci priva di metà del nostro essere, ci toglie l'innocenza e ci getta nella crudeltà che a volte può caratterizzare la vita. Ma il dolore ci arricchisce, ci rende sensibili, umani, veri, capaci di guardare chi soffre come noi come un fratello e curarne le ferite come curiamo le nostre. Ci riconduce ai valori fondamentali, a quegli affetti che sono alle radici del nostro esistere, ci offre, a caro prezzo, la consapevolezza di ciò che conta davvero. Cose che possiamo conoscere solo da spezzati, dopo essere stati tagliati a metà dal dolore e che ignoravano da interi, quando ci aggiravamo per il mondo credendolo un giardino dove vivere felici e spensierati.

Italo Calvino, nel romanzo "Il visconte dimezzato" (1952) scriveva così:


~~Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.
(…) O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza.
Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere.
Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo.
Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.~~


giovedì 8 agosto 2024

Farò della mia anima uno scrigno

photo by Margherita Gargano 

L'Amore rappresentato come risveglio spirituale è il tema principale della poesia dell'artista libanese Gibran, vissuto in un'esile vita tra Libano e Usa tra Ottocento e Novecento. Una primavera dell'anima che diventa fioritura, suono di campane a valle e risacca del mare, come in un desiderio di fusione panico con l'universo pervaso da correnti energetiche misteriose, in perfetta linea con il simbolismo decadente europeo, in Italia con i nostri D'Annunzio e Pascoli, in Francia con i poeti maledetti. Movimento eterogeneo che attraverso le sue diverse manifestazioni poetiche dà voce con parole preziose ai segreti di un'Anima mundi che è linfa vitale di tutti i fenomeni di nascita e vita della natura. In Gibran la parola si fa nuda essenziale, scarna e trova il suo carattere prezioso più nel contenuto e nei significati accessori che nella rarità del lemma. In questo troviamo la ragione della modernità del poeta e, unita alle sue tematiche, la ragione della sua fortuna presso la cultura New age degli anni Ottanta e la cultura della protesta per i diritti civili dagli anni Sessanta in poi, in Usa e in Europa. Tante, infatti, sono le letture possibili della sua idea assoluta di amore, da sentimento universale che affratella uomini di ogni parte e condizione, a sentimento che riconduce l'uomo al suo rapporto di filiazione con la terra madre, fino al sentimento erotico, intimo, che fonda la connessione tra due persone.
Qui, una delle sue poesie più rappresentative.



Farò della mia anima uno scrigno

per la tua anima,

del mio cuore una dimora

per la tua bellezza,

del mio petto un sepolcro

per le tue pene.

Ti amerò come le praterie amano la primavera,

e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.

Canterò il tuo nome come la valle

canta l’eco delle campane;

ascolterò il linguaggio della tua anima

come la spiaggia ascolta

la storia delle onde.

Kahil Gibran, dalla raccolta " Ali spezzate"


 


mercoledì 31 luglio 2024

COLAZIONE DA TIFFANY

 




- è come da Tiffany.

-Tiffany? Intende la gioielleria?

- Sì. Io vado pazza per Tiffany. Specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.     

- Vuol dire quando è triste?

- No,uno è triste perché si accorge che sta ingrassando o perché piove. Ma è diverso. No, le paturnie sono orribili: è come un’improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a lei? 

Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. E’ una cosa che mi calma subito, quel silenzio, quell’aria superba: non può capitare niente di brutto là dentro. 

Se potessi trovare un posto nella vita reale che mi faccia sentire come da Tiffany allora...

Poi comprerei dei mobili e darei un nome al gatto”

E questo film è il mio film. Non c'è molto da aggiungere. Audrey ed io abbiamo un solo sentire

Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany's) è un film del 1961 diretto da Blake Edwards, con Audrey Hepburn e George Peppard, tratto dall'omonimo romanzo del 1958 di Truman Capote.

Il film ha un lieto fine consolante, diversamente da quanto accade nel romanzo, piccolissimo e molto portabile e leggero in borsa, libro che a breve leggerò.

La locandina del film è uno dei miei poster personali preferiti

Mitica la canzone "Moon river" di Henry Mancini, scritta per il film e interpretata dalla Hepburn, musica che vinse l'Oscar come migliore colonna sonora del 1961



Incontro con il pianista Hamelin

    Ci sono concerti unici nel loro happening e che lasciano il segno nelle pagine dei ricordi della vita musicale cittadina e universale. I...